…geopolitica

Due o tre scenari interessanti per avviare una riflessione che credo riguardi anche la comunità ebraica italiana, che ha intensi legami storici e culturali con il Medioriente e con il Nord Africa. 1) Il presidente francese Hollande fa visita in Israele e nei territori palestinesi proponendo una nuova centralità diplomatica ed economica della Francia in Medioriente.
2) In Siria le forze governative si avviano a riprendere il controllo del territorio dopo aver utilizzato gas nervini e massacrato decine di migliaia di civili suscitando solo a tratti l’indignazione di un’opinione pubblica occidentale piuttosto disinteressata.
3) La Libia sostanzialmente non c’è più come paese unitario e sul suo terreno si combatte una stranissima guerra tribale e fra bande armate, finanziate probabilmente da gruppi economici stranieri che conducono una loro autonoma politica estera, in assenza di una strategia italiana/francese/inglese/americana che sarebbe stata la naturale conseguenza dell’intervento armato di due anni fa.
4) Il negoziato sul nucleare dell’Iran prosegue con alti e bassi, e le uniche posizioni chiare sono quelle di Israele e dell’Iran stesso. L’altro giorno mi è stato chiesto da uno studente chi fosse il ministro degli Esteri italiano e che tipo di politica estera caratterizzasse l’Italia in questo periodo. Devo dire la verità, ho fatto fatica a ricordarmi il nome di Emma Bonino, che pure è persona che stimo molto. E immediatamente dopo mi sono chiesto come rispondere, poiché sull’argomento non è che ci sia proprio chiarezza. Viviamo momenti di grandi cambiamenti e “riposizionamenti”, dovuti anche ai capovolgimenti politici che interessano soprattutto l’area mediorientale e nordafricana, e in questo contesto non è per nulla chiara la posizione del nostro governo. Dirò di più. Non è neppure chiara (o meglio, non esiste proprio) neppure la prospettiva della politica estera che intendono perseguire i diversi candidati alla guida del nostro governo nei differenti schieramenti politici. Semplicemente la politica italiana guarda tendenzialmente al proprio ombelico e – nonostante gli svariati viaggi europei ed extracontinentali dei nostri leader – l’unica linea che sembra emergere è un vago europeismo senza convinzione, condito da un allineamento alle politiche delle Nazioni Unite, che per parte loro sono piuttosto altalenanti. Mi chiedo se, in tempi di spending review, non rientri fra le vere urgenze quella di dotarsi di una politica estera coerente, che permetta di utilizzare le poche risorse che abbiamo per darci una prospettiva di lungo termine. Per dire: abbiamo oltre 1000 soldati nel sud del Libano, ma non mi pare che abbondino le visite di nostri ministri nel Paese per approfondire gli interscambi commerciali. Abbiamo 3000 uomini in Afghanistan, ma forse starebbero meglio in Libia, giusto per lavorare al controllo degli approvvigionamenti petroliferi e per sottrarre ai mercanti di uomini il funesto trasbordo di migranti. L’Eritrea era una colonia italiana e ora produce povertà e oppressione, senza che la nostra diplomazia dimostri la neppur minima prospettiva di intervento nell’area: un immobilismo che nell’immediato produce solo costi, legati all’accoglimento dell’immigrazione clandestina proveniente proprio da quel paese. Sono solo alcuni piccolissimi esempi rapsodici di un preoccupante vuoto nella politica estera italiana che non è altro che l’ultimo esempio di una progressiva marginalizzazione del nostro paese in ambito internazionale. L’assenza della politica – alla lunga – provoca anche questo. Ed è un male.

Gadi Luzzatto Voghera, storico

(22 novembre 2013)