Israele – Chi chiede asilo, chi sicurezza
Sicurezza dei confini, con uno sguardo agli stati limitrofi ma soprattutto al processo di pace con i palestinesi, riavviato grazie all’impulso americano ma continuamente a rischio. Ultimo caso le violenze subite da un gruppo di coloni di Esh Kodesh da parte di palestinesi e l’incendio di due auto nel villaggio palestinese di Madma, nella West Bank, provocato dai coloni stessi. Gesto, quest’ultimo, duramente condannato dal ministro degli Interni Moshe Ya’alon (nella foto con il premier Benjamin Netanyahu) che ha parlato di atti di “terrore” contro cui le autorità agiranno “con tolleranza zero in modo da estirparli alla radice”. E mentre gli estremismi preoccupano sul fronte del processo di pace, un altro versante tiene in allerta il governo Netanyahu: la questione dei migranti, giunti a migliaia dall’Africa in questi ultimi anni, ora al centro delle cronache a causa di una protesta che li ha visti scendere in piazza a Tel Aviv a migliaia contro un provvedimento che ne accelererebbe il rimpatrio.
Tornando alle violenze nella zona di Nablus, secondo quanto riporta il quotidiano Times of Israel (che richiama fonti dell’esercito israeliano) il gruppo di coloni, proveniente dal Esh Kodesh, è stato catturato e imprigionato in un edificio dagli abitanti del villaggio di Madma. Alcuni dei “prigionieri” sono stati picchiati. Secondo quanto risulta, i coloni però erano intenzionati ad attaccare il villaggio per protestare contro lo sradicamento da parte dell’Amministrazione civile israeliana di un loro boschetto di olivi, creato vicino all’avamposto West Bank Esh Kodesh. Secondo Pinchasi Bar-On uno degli uomini, poi tenuti prigionieri, il gruppo stava svolgendo un escursione e non aveva intenzioni aggressive. Bar-On, intervistato dalla stampa, ha anche smentito la tesi dei palestinesi secondo cui sarebbero stati salvati da un gruppo di cittadini, dopo aver rischiato il linciaggio da parte degli anziani del villaggio. Mentre le autorità cercheranno di ricostruire l’accaduto, quanto emerge è una nuova ondata di tensione mentre continua il dialogo, mediato dalla diplomazia Usa, tra israeliani e palestinesi. Un confronto a distanza in cui però nessuno sembra retrocedere nelle proprie posizioni.
Mentre la sicurezza dei confini rimane al centro della politica del governo Netanyahu, negli ultimi giorni un’altra questione è esplosa nelle mani dell’esecutivo: il problema degli immigrati africani, che a migliaia stanno protestando a Tel Aviv contro un provvedimento che inasprisce la loro situazione, facilitandone l’incarcerazione e il rimpatrio. “Non siamo criminali”, protestano i migranti, definiti da parte della politica e informazione israeliana come “infiltrati”, giunti in Israele per motivi economici e non perché in fuga dalla guerra. Per questo le autorità hanno concesso pochi permessi volti a garantire l’asilo politico. E in diecimila si sono riuniti davanti alla Knesset, il parlamento israeliano, per chiedere la tutela dei propri diritti. Una protesta a cui la politica ha prestato l’orecchio, con alcuni parlamentari incaricati di ascoltare le istanze dei manifestanti. Negli scorsi giorni, a Tel Aviv, ci sono state manifestazioni di solidarietà da parte di diversi ristoratori nei confronti di queste persone, provenienti per lo più dall’Eritrea e dal Sudan.
Daniel Reichel
(8 gennaio 2014)