separazioni…

La separazione tra Stato e Chiesa (o Sinagoga) è sempre stato uno dei punti fondamentali nell’agenda dei movimenti ebraici, ortodossi o riformati o conservative che fossero. Sin dalla sua fondazione, la “Union of American Hebrew Congregations”, una delle principali organizzazioni riformate statunitensi, ha sostenuto con forza la necessità di questa separazione richiamando, tra le tante fonti, anche il Primo Emendamento della Costituzione e stimolando l’impegno in quanto ebrei e in quanto cittadini nel non volere una commistione tra le due istituzioni e nel vigilare affinché nessuna legge o decisione governativa creasse un disordine o un pericolo in questa direzione. Seguendo il principio di “dare a Cesare quel che è di Cesare” anche i movimenti riformati e conservative (masortim) in Israele sono sempre stati attivi nel portare avanti le esigenze di questa separazione, aggiungendo nel contesto israeliano, il valore di una necessità politica che diventa anche una apertura verso il pluralismo e il riconoscimento delle differenti realtà ebraiche del paese.
Questi approcci idealisti e combattivi dei movimenti liberali sono cambiati lungo il cammino che li ha visti protagonisti nel dibattito politico e sociale del Paese, fino a quando nel 2012 i movimenti riformati e conservative hanno festeggiato la decisione dell’Alta Corte di Israele che ha approvato la nomina di quindici rabbini non ortodossi come rabbini comunitari per alcuni villaggi e altre realtà rurali del paese. Dallo scorso 2 gennaio 2014, i festeggiamenti sono aumentati e il banchetto per i festeggiamenti del 2012 è diventato un pranzo di nozze poiché quattro rabbini non ortodossi sono entrati ufficialmente nel libro paga dello Stato di Israele, elemento che, secondo l’intero mondo ebraico non ortodosso, è senza dubbio alcuno un grande passo verso una vera società israeliana pluralista e inclusiva. I quattro rabbini Miri Gold, Stacey Blank, Gadi Raviv e Benji Gruber, neo impiegati non ortodossi dello Stato, non sono solo dei semplici stipendiati dello Stato, ma sono il simbolo stesso di un pluralismo pagato dallo stesso Stato, uno Stato che a questo punto non è più bene separare dalla Sinagoga. In questo modo, ci dicono gli amici liberali, sarà creata una piattaforma di laicità per tutti noi israeliani che porterà, per esempio, all’istituzione dei matrimoni civili. Sarò stupido ma qualcosa non mi torna. Storicamente nell’agenda dei movimenti ebraici non ortodossi fuori da Israele la separazione fra Stato e Chiesa ha significato e significa un forte impegno per la laicità dello Stato e per la non ingerenza assoluta di quest’ultimo nelle realtà religiose, anche solo attraverso sovvenzioni economiche che potrebbero influenzare la libertà di espressione delle Sinagoghe e delle Chiese nei confronti dello Stato. Come potranno portare avanti questa libertà di espressione i rabbini non ortodossi inseriti nel libro paga statale? Come si può festeggiare questo risultato come un elemento che aiuterà il percorso pluralista della nostra società israeliana? Le richieste di libertà religiosa e di non ingerenza statale cozzano con l’accettazione della sponsorizzazione statale che, di fatto, rende meno sincera ogni battaglia per il pluralismo e ogni festeggiamento rischia di nascondere una amara realtà: i movimenti riformati e conservative di Israele de facto hanno rinunciato a lottare per la separazione fra Stato e Chiesa. Probabilmente questi movimenti presi dall’organizzazione delle feste per i nuovi ruoli statali ottenuti non hanno avuto ancora il tempo di pensare seriamente a quello che sta accadendo e non si sono resi conto che il modello statunitense o occidentale in genere che essi promuovevano è stato silenziato dallo stipendio di questi nuovi quattro rabbini, così come nessuno sembra accorgersi che il pluralismo di una busta paga serve poco alla costruzione di un pluralismo sociale e religioso. La realpolitik ha preso il posto della lotta idealista, e il codice iban che i quattro rabbini reform hanno inviato allo Stato in cambio dello stipendio ha censurato ogni voce di protesta, ogni rivoluzione, e ha aperto la strada a un ebraismo non ortodosso che diventando impiegato dello Stato ha deciso di essere parte connivente della non separazione tra Stato e Chiesa, e poco importa se, questa volta, i conniventi siano donne rabbino o rabbini pronti a leggere la Torah a un minian composto da uomini e donne insieme. L’ideale riformato e liberale che affondava le proprie radici nel Primo Emendamento e che poteva essere una piattaforma di azione comune con il mondo modern orthodox o dati leumi è morto tra i conti bancari dei quattro rabbini non ortodossi pagati dallo Stato e dell’idea liberale restano solo i voli pindarici di un eventuale pluralismo che è destinato a essere anche esso istituzione e non movimento per il cambiamento. Questa è la natura dell’uomo avrebbe detto mia nonna, raccontandomi la storia della volpe e dell’uva e chissà perché mi torna alla mente una canzone che Fabrizio De Andrè prese in prestito da George Brassens. Morire per delle idee, va bè, ma di morte lenta, ma di morte lenta… e possibilmente in busta paga. Statale.

Pierpaolo Pinhas Punturello, rabbino

(10 gennaio 2014)