Israele – Un patto debole ma pericoloso
Questa mattina il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha riunito un consiglio di sicurezza per discutere sulla presunta riconciliazione tra Autorità nazionale palestinese e Hamas. Presunta perché sono in molti a dubitare che le due fazioni siano veramente arrivate a un accordo, dopo un sanguinoso conflitto interno, protrattosi per sette anni. Non ne sono convinti gli analisti del ministero degli Esteri israeliano che in un report presentato al premier Netanyahu parlano di un “accordo molto generico, deliberatamente ampio e ancora lontano dall’essere implementato”. La stretta di mano tra gli uomini di Fatah, primo partito all’interno dell’Anp, e quelli di Hamas sembra dunque più debole di quanto le dichiarazioni in pompa magna di ieri non dimostrino. “Nonostante gli interessi comuni e l’ottimismo c’è ancora un’atmosfera di sospetto e sfiducia tra Hamas e Fatah. Le parti sono lontane dal colmare le divisioni”, fanno sapere dal ministero degli Esteri di Israele. Seppur non ancora realtà, la riconciliazione tra le due sponde palestinesi, Cisgiordania e Striscia di Gaza, preoccupa il governo di Gerusalemme. Il ministro degli Esteri Avigdor Lieberman, preceduto ieri da Netanyahu, ha ribadito che Israele non siederà al tavolo dei negoziati, ormai seriamente a rischio, fino a che il leader dell’Anp Mahmud Abbas non sceglierà con chi stare: con la pace o con i terroristi di Hamas, l’ultimatum di Lieberman.
Un accordo che ha preso tutti in contropiede, costringendo anche Tzipi Livni, capo delegazione dei negoziatori israeliani, ad ammettere che a questo punto tutto diventa più complicato. Questo nonostante le smentite provenienti da Ramallah. “La riconciliazione che abbiamo raggiunto – spiegava ad Haaretz Jibril Rajoub, esponente di spicco di Fatah – sarà implementata facendo riferimento al programma di Abu Mazen (Mahmud Abbas) in cui vi è il riconoscimento dello Stato di Israele”. Ovvero, nonostante Hamas, che nel suo statuto prevede la cancellazione di Israele, i negoziati possono proseguire. Secondo quanto risulta dal report del ministero degli Esteri, la vaghezza dell’accordo con Gaza, permetterà al leader dell’Anp di avere spazio di manovra. Per il Times of Israel, questa libertà si convertirebbe in una sorta di dimostrazione di forza nei confronti di Israele e degli Stati Uniti. “Se non mi ascoltate o sempre un’altra via”, il concetto alla base delle intenzioni di Abbas. In realtà molte voci, anche interne ai palestinesi, hanno evidenziato come il patto di ieri sarebbe la dimostrazione della debolezza di entrambi i “contraenti”. Hamas ha visto erodersi nel tempo il suo potere nella Striscia a favore di fazioni, come la Jihad islamica, ancora più estremiste. Inoltre è strozzato dall’embargo imposto dalle nuove autorità egiziane. La storica vicinanza con i Fratelli musulmani non ha giovato e ora che Morsi è stato deposto, il vicino egiziano ha bloccato i tunnel che rifornivano Gaza, soffocandone l’economia. L’abbraccio con Fatah nasconde per molti il tentativo di Hamas di far allentare la cinghia ai militari del Cairo e portare alla riapertura dei tunnel.
I festeggiamenti per quella che appare come una pseudo riconciliazione sembrano più di facciata che veramente sentiti. La giornalista Amira Hass di Haaretz sottolinea che “i nazionalisti dell’Anp continueranno a sospettare Hamas di essere più vicino ai principi islamici dei Fratelli musulmani che agli interessi nazionali e sociali dei palestinesi. Hamas continuerà ad essere ostile alla cultura secolare da sempre parte dell’Anp, guardandola come il risultato negativo dell’influenza occidentale”. La Hass conclude auspicando che le parti trovino un accordo comune e si rafforzino reciprocamente. A scapito di chi, si chiede Israele. Ovvero prevarrà Hamas con la sua politica della violenza o Abu Mazen, leader settantanovenne apparso più volte incerto. L’irritazione e la preoccupazione di Gerusalemme cresce di fronte a un accordo debole ma comunque pericoloso. Tanto che l’esercito israeliano si sta preparando davanti al rischio di eventuali escalation di violenza in Cisgiordania e a Gaza: il comando centrale ha infatti diramato l’ordine di incrementare le esercitazioni che prevedono il controllo di eventuali rivolte. Scenari che rispecchiano le parole di David Horovitz, direttore del Times of Israel. L’accordo “sarà probabilmente l’inizio di un intensificarsi, da parte palestinese, dell’impegno a demonizzare Israele sul palcoscenico mondiale”, afferma Horovitz che teme il riproporsi in Israele di nuove e sanguinose violenze, già saggiate in passato.
Daniel Reichel
(24 aprile 2014)