Israele – La caduta di Ehud Olmert

holyland towers“Queste sono cose che accadono nei paesi democratici. Io non ho alcun ruolo nel potere giudiziario, ed esso è libero da influenze. Da un punto di vista personale però è un giorno triste”. In visita di Stato in Norvegia, il presidente israeliano Shimon Peres ha commentato così la sentenza emessa dal giudice della Corte distrettuale di Tel Aviv David Rozen che condanna l’ex premier Ehud Olmert a sei anni di reclusione per corruzione.
A poche ore dal verdetto, che stabilisce la pena per due tangenti incassate da Olmert durante il suo mandato da sindaco di Gerusalemme nell’ambito dell’affare Holyland, sono proprio questi i sentimenti che sembrano prevalere nei leader dello Stato ebraico: la positiva consapevolezza di vivere in una democrazia capace di individuare e punire i colpevoli anche se appartenenti alle più alte sfere e la tristezza nel vedere un uomo “brillante, intelligente, rispettato, che ha dato tanto al paese” commettere un crimine di “turpitudine morale” secondo le stesse parole del magistrato, che ha spiegato come “un pubblico funzionario che accetta tangenti sia affine a un traditore”: “la corruzione inquina il servizio pubblico e può distruggere un governo” ha sottolineato Rozen.
Insieme a quella di Olmert è stata stabilita la pena di altri sei personaggi coinvolti nella vicenda della costruzione del megacomplesso che, con un grattacielo di trenta piani e altri cinque edifici collegati, domina ormai mostruosamente il panorama di Gerusalemme, come ha raccontato il demografo Sergio Della Pergola in un approfondimento sul caso pubblicato su Pagine Ebraiche di maggio: gli imprenditori Hillel Cherney, Avigdor Kellner, Meir Rabin e Danny Dankner, che versarono le tangenti, Uri Shitreet, e Eli Simhayoff, che come Olmert le accettarono (Shitreet in qualità di ingegnere capo del Comune e Simhayoff di vicensindaco).
Olmert, cui viene imputato in particolare aver accettato due somme pari a circa 17mila dollari per le sue spese personali e 140mila per il fratello Yossi pieno di debiti, continua a proclamarsi innocente e ha dichiarato che presenterà appello alla Corte suprema, che dovrà decidere se ordinarne la permanenza in carcere durante il processo o meno.
Secondo la decisione della Corte di Tel Aviv, i condannati dovranno presentarsi per l’arresto il prossimo primo settembre. Se le cose non cambieranno sarà la prima volta, per Israele, che un ex primo ministro finisce in prigione. Già in passato lo Stato ebraico ha dimostrato di non guardare in faccia nessuno, ricordando per esempio la condanna di Moshe Katsav, già presidente israeliano che sta attualmente scontando sette anni per violenza sessuale, o il caso del leader del partito Shas Aryeh Deri, che ha trascorso due anni in prigione per corruzione dopo essere stato titolare del Ministero degli Interni.
“Il giorno in cui un ex primo ministro finisce in carcere è un giorno triste per la democrazia israeliana – ha sottolineato il ministro delle Finanze Yair Lapid – Allo stesso tempo è un giorno importante, in cui il sistema giudiziario ha dimostrato che non esiste nessuno al di sopra della legge”.
“Per chi conosce l’Italia, queste vicende sono una ben pallida eco delle famose Mani sulla città di Francesco Rosi. Assai modeste in confronto le somme, le case sono ben costruite e non crollano, dal trentesimo piano si gode una magnifica vista – ha messo in evidenza Sergio Della Pergola – A quanto pare, l’uso del potere corrompe, in Israele come in Italia. Poi viene l’euforia con l’abbraccio all’autista (democratico), il buffetto/ ganascino all’attempato consigliere (paternalista), o la frase alla giornalista televisiva (minacciosa). Tanto nessuno può dire nulla a chi sta ben al di sopra di tutte queste mediocri regole e procedure, a chi lavora notte e giorno per il bene del popolo”

Rossella Tercatin twitter @rtercatinmoked

(13 maggio 2014)