Bergoglio in Israele – Parla Zion Evrony. “Gerusalemme-Vaticano, dialogo da portare a un nuovo livello”

zion evrony“L’anno 2014 è importante per una serie di motivi: la prossima visita di papa Francesco in Israele, la celebrazione del ventesimo anniversario delle relazioni, e la possibilità di concludere e firmare l’Accordo economico e finanziario che affronta questioni di proprietà e tassazione della Chiesa cattolica in Israele”. A pochi giorni dal viaggio di Jorge Bergoglio nello Stato ebraico, parla l’ambasciatore presso la Santa Sede Zion Evrony e dialoga con la storica Anna Foa ripercorrendo le tappe fondamentali dei rapporti fra i due paesi e le loro identità, con uno sguardo al presente e soprattutto al futuro. A introdurli, rav Roberto Della Rocca, direttore del dipartimento Educazione e cultura dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane e guida del progetto Kesher che ha organizzato l’incontro presso la Scuola ebraica di Milano (presenti in sala tra gli altri il presidente della Comunità Walker Meghnagi, il rabbino capo Alfonso Arbib e il vicepresidente UCEI Roberto Jarach).
kesher serata evrony “Cade in questi giorni l’anniversario civile della nascita di Israele. Il rapporto con il Vaticano è stato a lungo complicato, con la Santa Sede che per molti anni ha fatto parte di quel gruppo di Stati che non lo riconoscevano per ragioni ideologiche. Con il passare del tempo le cose sono cambiate, pur permanendo delle difficoltà, ma oggi ci troviamo alla vigilia di un momento importante” ha sottolineato rav Della Rocca.
Al cuore di una relazione complessa, l’intreccio fra piano politico e piano religioso.
“È chiaro che fino alla Nostra Aetate, il rifiuto della Chiesa di riconoscere Israele aveva innanzitutto un fondamento religioso: gli ebrei non avevano accettato Gesù e per questo dovevano scontare la punizione dell’esilio, popolo senza terra e senza diritti” ha ricordato Foa, facendo riferimento alla Dichiarazione che fu promulgata dal Concilio Vaticano II nel 1965 che, nel trattare dei rapporti tra la Chiesa e le altre religioni, menziona il vincolo nei confronti del popolo ebraico, e tra le altre cose, disconosce l’accusa di deicidio, invitando a promuovere la mutua conoscenza e stima. “L’atteggiamento, verso gli ebrei e poi verso Israele è mutato man mano che si faceva strada e acquisiva centralità l’idea di un rapporto speciale tra Chiesa ed ebraismo. È importante poi ricordare anche come il Vaticano rischiasse di rimanere isolato, mentre Israele si affermava sempre più nel panorama internazionale. Ecco così che l’accordo che ha stabilito relazioni diplomatiche nel 1993 è molto più che un documento politico. Pur rimanendo il fatto che nella Chiesa c’è qualche difficoltà a capire il sionismo: la Terra santa rimane nella sua visione il luogo in cui tre sacralità, quella cristiana, quella ebraica e quella musulmana, si scontrano o, nella migliore delle ipotesi, trovano un compromesso d’equilibrio. È difficile concepire che si vada a scavare nel rapporto profondo tra queste sacralità”.
Oggi l’orizzonte è rappresentato da un ulteriore ampliamento delle relazioni, ha ricordato Evrony, menzionando la centralità della cooperazione per promuovere la lotta contro l’antisemitismo (“Penso che le parole di Francesco sul fatto che, date le origini comuni, un cristiano non può essere antisemita, andrebbero diffuse ai quattro angoli della Terra”), la tutela dei diritti delle minoranze in Medio Oriente, il contrasto all’Islam radicale, ma anche la situazione in Siria, tra gli ambiti di maggiore interesse reciproco.
“Ci tengo ad affermare che il pontefice verrà accolto con calore da tutto il popolo d’Israele indipendentemente dalla religione” ha sottolineato l’ambasciatore, facendo riferimento alle accuse scaturite in seguito ad alcuni episodi di vandalismo contro luoghi cristiani. “Questi atti sono responsabilità esclusiva di alcuni isolati estremisti che non rappresentano nessuno. Stiamo creando una unità speciale delle forze di polizia per contrastarli. Creano un’immagine falsa del nostro paese: azioni del genere sono contro i nostri valori”.
L’auspicio espresso rimane quello di un ulteriore salto di qualità, la domanda centrale se, e in che misura, esso coinvolga il piano teologico.
“L’antigiudaismo non può essere considerato un elemento marginale nella dottrina della Chiesa, è estremamente fondante – ha sottolineato Anna Foa – Per questo possiamo affermare che la stagione che si è aperta con la Nostra Aetate rappresenta anche una profonda trasformazione della Chiesa stessa”. “Oggi, nel dialogo con l’ebraismo, molti cristiani cercano la riscoperta delle proprie origini. Da parte ebraica questo chiaramente non avviene, lo sforzo è quello di far capire chi siamo, di smontare i pregiudizi” ha sottolineato rav Della Rocca, spiegando le radici dell’asimmetria che necessariamente si pone, e rievocando un episodio di vita personale, forse la massima incarnazione delle sfide che il rapporto tra Chiesa ed ebraismo continua a porre, la ferita di duemila anni di persecuzioni e tentativi di indurre all’abbandono della religione ebraica. “Durante la Shoah, mio padre si salvò nascondendosi in un convento. Allo stesso tempo, ogni sera, la madre superiora andava nella sua stanza per convincerlo a convertirsi. Ci furono entrambi gli aspetti. Ecco perché non possiamo dimenticare che nei rapporti con la Chiesa oggi si intrecciano storia e politica, incontri e scontri, ferite e speranze”.
“Sono sicuro – ha concluso l’ambasciatore – che la visita di papa Francesco, come quella dei suoi predecessori, contribuirà al processo di riconciliazione, riconoscimento e dialogo tra il popolo ebraico e la Chiesa cattolica e anche alle relazioni tra Israele e Santa Sede”.

Rossella Tercatin
twitter @rtercatinmoked

(16 maggio 2014)