Israele – “Hamas pagherà un caro prezzo”
Esplosioni e sirene scuotono il sud di Israele. Nelle sole ultime ventiquattro ore il gruppo terroristico di Hamas e le altre fazioni estremiste della Striscia di Gaza hanno lanciato oltre cento razzi contro il territorio israeliano. Una violenza a cui lo Stato ebraico ha risposto con l’operazione Margine Protettivo, intesa a fermare le minacce proveniente da Gaza. Dall’inizio dell’operazione, l’esercito israeliano (Idf) ha colpito novanta obiettivi, incluse case utilizzate da Hamas e dai miliziani jihadisti, postazioni di lancio dei razzi, tunnel sotterranei, campi di addestramento e altri centri usati per attività terroristiche. Nelle ultime ore, secondo fonti palestinesi riportate dal Jerusalem Post e da Ynet, 5 miliziani di Hamas sarebbero morti in seguito a un attacco israeliano. Il grande interrogativo è se l’operazione Margine Protettivo si trasformerà anche in un’operazione via terra. Per il momento infatti le azioni non hanno coinvolto i reparti terrestri ma l’opzione non è stata esclusa sia dai vertici militari sia dallo stesso primo ministro Benajamin Netanyahu. “Hamas ha scelto l’escalation di violenza e ne pagherà le conseguenze”, ha dichiarato Netanyahu che avrebbe ordinato alle forze armate di preparasi per un’operazione prolungata a Gaza. A riassumere il significato della risposta israeliana, il tweet dell’Idf, “Hamas non sarà al sicuro fino a che continuerà a minacciare le vite dei civili israeliani”. Il portavoce dell’esercito ha confermato il possibile impegno delle truppe di terra a Gaza, area sotto il controllo di Hamas dal 2007. Secondo il Times of Israel stanno crescendo le voci che suggeriscono di “riprendersi la Striscia di Gaza”, lasciata nel 2004 con la decisione dell’allora primo ministro d’Israele Ariel Sharon di portare a termine il Piano di disimpegno unilaterale. Tra coloro che vorrebbero ritornare nella zona, controllata da Hamas ma in cui sono emersi nuovi gruppi estremisti, il ministro degli Esteri Avigdor Lieberman, che ieri ha annunciato la dissoluzione dell’accordo elettorale con il Likud: il suo Israel Beitenu rimane nella coalizione e sosterrà il governo Netanyahu ma in maniera indipendente. Tra i motivi dello strappo, proprio la questione dell’intervento a Gaza, su cui inizialmente il primo ministro è rimasto molto cauto. L’intensificarsi delle violenze e la pioggia di razzi scagliata da Hamas contro Israele ha cambiato le carte in tavola. Sono stati richiamati in queste ore 40mila riservisti in preparazione di una possibile operazione sul campo. Dure le parole del parlamentare del Likud Ze’ev Elkin, capo della commissione Esteri e Difesa della Knesset. “Il terrorismo islamico di Gaza, che punta contro di noi migliaia di razzi, non è venuto fuori per caso. È accaduto a causa di nostri errori, uscire da Gaza e lasciare che Hamas partecipasse alle elezioni del 2006”. “È chiaro che qualsiasi altro atto – continua Elkin, in riferimento ad altre azioni che non portino a riprendere Gaza – servirà solo come deterrente fino alla prossima volta che ci vorranno mettere nuovamente alla prova”.
“È il nostro diritto provvedere alla sicurezza dei nostri cittadini – ha affermato il ministro della Giustizia Tzipi Livni, intervenendo a una conferenza di pace organizzata dal quotidiano Haaetz (che ha visto la partecipazione del presidente di Israele Shimon Peres, del ministro all’Economia Naftali Bennet, il presidente dell’Autorità nazionale palestinese Mahmoud Abbas) – La domanda ora è: quale il modo giusto per farlo? E questo dipende soprattutto da Hamas e fino a che punto non permetterà ai cittadini israeliani di vivere in pace”.
Daniel Reichel
(8 luglio 2014)