Israele – Quale corso per Margine difensivo

razziUn bambino di otto anni è stato ferito (in modo lieve) dai detriti di un missile sparato da Hamas sulla città di Ashdod, mentre correva per raggiungere il rifugio. Le sirene continuano a suonare ormai praticamente in tutto il territorio israeliano, quasi fino al confine nord con il Libano. Il sistema di difesa antimissilistico Iron Dome (nell’immagine) continua a fare il suo lavoro, neutralizzando la grande maggioranza dei razzi diretti contro i centri abitati e scongiurando quello che altrimenti sarebbe un inevitabile carico di distruzione. Oltre ai razzi, Hamas ha annunciato che avrebbe messo in campo anche alcuni droni, aerei senza piloti che possono essere utilizzati per raccogliere informazioni, ma anche per sganciare esplosivo. L’esercito di difesa israeliano avrebbe confermato l’abbattimento di un drone delle Brigate Izz ad-Din al-Qassam (il braccio militare del gruppo terrorista che governa Gaza) ma secondo quanto riportato dalla stampa ci sarebbe scetticismo circa l’effettiva esistenza di altri velivoli simili non intercettati.
L’interrogativo più profondo rimane però legato alla possibile azione via terra. Fino a questo momento, truppe speciali sono entrate a Gaza per compiere azioni mirate, come la distruzione di una rampa di lancio per missili a lungo raggio. Tuttavia, da giorni si rincorrono voci e segnali legati all’imminenza di un’operazione di vasta portata, dalla mobilitazione delle decine di migliaia di riservisti all’invito dell’Idf ai residenti della zona a nord della Striscia, dove vengono lanciati la maggior parte dei missili, a evacuare le proprie abitazioni per non rimanere coinvolte nei combattimenti.
A offrire un’analisi delle ragioni per cui sarebbe prevedibile che Israele decidesse effettivamente di optare per l’operazione di terra, e invece quelle per cui potrebbe invece desistere è su Haaretz, l’autorevole giornalista Anshel Pfeffer.
Secondo Pfeffer, sarebbe stato dimostrato che non ci sarebbe altro modo per smantellare davvero l’arsenale di razzi a disposizione di Hamas (come si evincerebbe dal fatto che sette giorni di operazione aree non sembrano aver ridotto la capacità di fuoco del gruppo terrorista), che si starebbero esaurendo gli obiettivi da colpire senza causare eccessivi danni collaterali, e che sarebbe la via per ristabilire la deterrenza israeliana per il futuro. Il giornalista ricorda anche come nonostante il premier Benjamin Netanyahu e il ministro della Difesa Moshe Ya’alon sembrino riluttanti a ricorrere a questa opzione, altre componenti della maggioranza, in primo luogo Avigdor Lieberman, premerebbe per questa soluzione, e un consenso non basso esisterebbe anche presso l’opinione pubblica israeliana messa a dura prova dai razzi.
Al contrario tuttavia, nota l’intervento, entrare a Gaza significherebbe moltiplicare i bersagli a disposizione di Hamas (compresa la possibilità di metterlo in condizione di prendere in ostaggio soldati israeliani), aumenterebbe il numero di vittime civili e renderebbe le truppe vulnerabili in caso di ritirata per un cessate il fuoco. Inoltre sottolinea Pfeffer, Israele (salvo limitate eccezioni) non vorrebbe mai rioccupare la Striscia tornare ad assumersi la responsabilità di oltre un milione e mezzo di civili, e la storia politica di Netanyahu dimostra la sua propensione alla prudenza e a evitare operazioni azzardate.
Nel frattempo sembra essersi lentamente messa in moto la macchina della diplomazia internazionale. Nel novembre 2012, il cessate il fuoco fu raggiunto con l’intervento, oltre che degli Stati Uniti, dell’Egitto, allora presieduto da Mohammed Morsi, leader espressione dei Fratelli Musulmani vicini ad Hamas. Oggi lo scacchiere è profondamente cambiato e i possibili mediatori più difficili da individuare. Previsto nelle prossime ore l’arrivo nella regione del ministro degli Esteri Federica Mogherini. Un viaggio già programmato in precedenza, ma che potrebbe assumere, alla luce della situazione un significato diverso, anche in considerazione della presidenza italiana dell’Unione Europea.
“Fermare gli estremisti. Farlo non è semplice, specie in questo momento ma l’Italia ha chiesto e ottenuto che il prossimo Consiglio europeo sia incentrato sulla questione mediorientale – ha sottolineato il premier Matteo Renzi in un’intervista al TG1 – Per chi come noi ama quei popoli, quelle terre, il dolore non può che cercare di trasformarsi in un’azione concreta per cercare di bloccare la violenza e riaffermare il diritto di Israele di esistere e il diritto alla patria del popolo palestinese”.

Rossella Tercatin twitter @rtercatinmoked

(14 luglio 2014)