#IsraeleDifendeLaPace – Tante voci in prima linea
Si assomigliano tutte le lettere che vengono dal fronte. Da una guerra all’altra, da un secolo all’altro, da un territorio all’altro fin da quando esiste una corrispondenza di guerra. Cartoline e lettere una volta, mail e whatsapp oggi.
Un misto di paura, entusiasmo, propaganda che nasconde, ma non nega, l’umanità di chi le scrive. Allora, togliendo tutto gli orpelli, cosa emerge? Il pensiero per la famiglia, che questa volta condivide il rischio con chi sta al fronte a causa dei razzi che possono cadere ovunque. O la preoccupazione per i propri figli, specie se sei una “riservista” di 23 anni, perché in questo paese anche se sei così giovane puoi fregiarti di questo titolo. O, ancora, la consapevolezza che la popolazione civile questa volta è davvero stanca, riconoscendo contemporaneamente lo sforzo dei volontari che sostengono chi sta in prima linea.
Di fronte al rischio della vita, ciò che balza fuori è qualcosa di unico per ognuno nei dettagli, comune a tutti nell’essenza.
Sembra di essere in uno dei grandi affreschi di David Grossman, Oz o Yehoshua. Non è un caso se i tre grandi miti della letteratura israeliana, diversamente colpiti dalle guerre che si sono succedute nel corso dei decenni in quella terra, ognuno a modo suo declini una ricerca di dialogo con il nemico.
In particolare, Avraham Yehoshua, in una lunga intervista di qualche giorno fa afferma, con la delicatezza di sempre, la necessità che il dialogo riprenda. Anche questo hanno in comune le guerre d’Israele. Ogni volta si è cercato un mediatore diverso, non necessariamente quello che sembrava fosse il più adeguato per il resto del mondo che si intromette sempre in quelle terre, sia per ridurre l’aggressività endemica, che per fomentarla: lì basta davvero poco per trasformare una crisi in guerra aperta. Per Yehoshua la causa scatenante di quanto sta avvenendo ora è stata la chiusura, da parte egiziana, del valico di Rafah che condivide con la Striscia di Gaza.
Ed è quello che emerge anche dalle lettere dei giovani riservisti al fronte. Sono orgogliosi di servire il proprio paese, ma vorrebbero tanto che tutto questo, una volta per tutte finisse, convinti che anche dall’altra parte del confine, per i civili, sia così.
Paola Pini
(24 luglio 2014)