#IsraeleDifendeLaPace – Nell’ora del dolore

adar barsanoNiente auto militari, un semplice taxi civile. E abiti civili sono indossati anche dalla prima persona a scendere dalla macchina per verificare di aver individuato l’indirizzo giusto. Talvolta, se qualche dubbio persiste, viene chiamato il telefono di casa, per avere conferma, sentendo squillare l’apparecchio dalla parte opposta della porta, di essere davvero arrivati. È così che gli incaricati delle forze di difesa israeliane portano alle famiglie dei soldati caduti la notizia più terribile. Un percorso studiato nei minimi dettagli perché se non esiste al mondo la possibilità di rendere meno atroce la perdita, si tenta almeno di “ammorbidire il momento” come ha raccontato al Times of Israel un capitano che ha servito a lungo nel dipartimento incaricato di questo compito, fino al momento in cui ha realizzato di non avere più “l’immensa forza spirituale necessaria” per una mansione del genere.
Sono stati 43 fino alla mattina di domenica i caduti di Tzahal. Tanti giovani, 19, 20, 21 anni ma anche padri di famiglia, di leva e riservisti. Il numero di perdite registrato nell’operazione Margine Difensivo è il più alto dalla guerra contro Hezbollah nel 2006.
Quando un soldato rimane ucciso, la prima operazione necessaria è quella di raggiungere la certezza della sua identità. Poi viene preso contatto con l’ufficiale responsabile della città di provenienza, il quale avverte un gruppo di volontari “informatori”, tutti riservisti, spesso passati attraverso l’esperienza di una perdita e dunque consapevoli dell’importanza del primo contatto con le famiglie. Tra loro solitamente c’è anche un medico.
Così si arriva davanti alla casa. “In quel momento c’è la consapevolezza che in pochi istanti la vita delle persone dall’altro lato della porta cambierà per sempre” spiega il capitano.
Quando qualcuno apre, si chiede di riunire la famiglia e si legge loro una nota preparata prima “fattuale, laconica, succinta”. Niente spazio all’improvvisazione.
La squadra, composta da persone che parlano diverse lingue e conoscono le usanze del lutto nelle diverse tradizioni, assiste la famiglia in tutte la necessità fino alla celebrazione al funerale. Non oltre, “perché la famiglia assocerà sempre quegli ufficiali con il ricordo del momento in cui è stata comunicata loro la perdita”. A occuparsi di seguirle dopo quel momento sono ufficiali diversi, quasi tutti donne, il cui incarico dura solitamente a lungo e le trasforma in un punto di riferimento.
“Il nostro compito è quello di rappresentare l’esercito presso le famiglie e le famiglie presso l’esercito” spiega il maggiore Aviv Marom, che si occupa di seguire i parenti dei soldati di Tzahal arabi, beduini e drusi, rimasti uccisi. Perché dolore della perdita di un proprio caro non conosce differenze di etnie, né di religione e Tzahal non lascia soli.

Rossella Tercatin twitter @rtercatinmoked

(27 luglio 2014)