Camminare senza correre
È trascorsa un’altra settimana. L’Ulpan mi assorbe e distrae per la maggior parte del tempo: siamo un gruppetto sparuto causa le disdette o le partenze anticipate; paradossalmente la guerra, se rende la città più tranquilla e godibile, crea anche condizioni di studio più fruttuose. Gli allarmi continuano quotidianamente, da ieri per la prima volta anche di notte; non ci si abitua affatto ma si impara a prendere qualche precauzione. Camminare anziché correre verso il rifugio sapendo che almeno a Tel Aviv c’è il tempo per farlo, ad esempio, lenisce un po’ l’ansia. Di contro, il rumore dei razzi non sempre è accompagnato dall’allarme dunque l’orecchio è sempre all’erta, soprattutto per distinguere i suoni delle sirene che, come a New York, sono frequenti e disparati: quello della polizia è diverso da quello del Maghen David Adom che, dall’inizio della guerra, ha cambiato registro per non confondersi con quello dell’Azakà. Sabato la spiaggia di Tel Aviv assomigliava un po’ a quella di sempre: centinaia di ragazzini in acqua redarguiti continuamente dai bagnini e la riva colma di giocatori muniti di racchette visualizzava l’annuncio del primo cessate il fuoco. Ma oggi, di nuovo, un silenzio mortale: la guerra continua, ha annunciato Netanyahu, sarà anzi ancora più dura, come prova la striscia più lunga delle fotografie dei caduti sull’Haaretz.
I razzi hanno bypassato oggi Tel Aviv per raggiungere il Carmelo a Haifa. Che strano, due giorni fa ero lì per l’inaugurazione della mostra di fine anno alla Wizo School of Design. Una partecipazione di sorprendente vitalità da parte di studenti, genitori e professori. Ho pensato: a 100 km a nord di Tel Aviv la guerra è ancora più lontana e la normalità più reale e tangibile! Sorprendente anche la qualità dei lavori esposti, di arte e design ma soprattutto di architettura: nessun esercizio formale ma soluzioni guidate dall’impegno ad affrontare problemi reali in luoghi reali: la canalizzazione delle acque, la sperimentazione di nuovi materiali, la ricerca di integrazione e di dialogo laddove, come nel caso del famigerato Muro, si costruisce per dividere.
Ma anche a Tel Aviv ci sono tante belle sorprese. In primis, la nuova ala del Tel Aviv Museum of Art che, per quanto la si possa immaginare, è un vero pugno allo stomaco. A differenza di altre soluzioni architettonicamente azzardate come ad esempio il Maxxi di Roma, le sale espositive non sono sacrificate all’impulso creativo dell’autore, ma sono ampie, spaziose e ospitali mentre gli spazi di raccordo, collegamento e smistamento si contorcono spasmodicamente per offrire squarci veramente mozzafiato. Ai fautori del vecchio Museo, per altro pregevolissimo, nonché detrattori della nuova ala, occorre ribadire che il passaggio tra le due parti funziona invece perfettamente, nel rispetto dei linguaggi dissonanti che riflettono i 40 anni trascorsi: il punto di contatto è proprio la rampa che nel vecchio edificio attraversa la parete prospiciente l’ingresso per condurre ai piani superiori, mentre nella nuova ala informa tutto lo spazio tagliandolo, torcendolo e risucchiandolo verso l’alto. Anche Kikar Habimah è per me una novità, un vero snodo della cultura, come già previsto dal piano del geniale Geddes: il raccordo tra l’Helena Rubinstein Pavilion, dedicato all’arte contemporanea, l’auditorium Bronfmam e il nuovo teatro Habima, imperiosao e monumentale, è un gigantesco piazzale, pressochè vuoto, progettato da Dani Karavan: una scala conduce al parcheggio sotterraneo, una vasca d’acqua è a filo della piazza mentre un ampio giardino abitato da piante tropicali, alberi da frutta e fiori sgargianti è di pochi gradini più basso. Svettano in fondo i tre dischi in bilico diagonale di Menashe Kadishman mentre francamente gratuita risulta la lunga sequenza di arcate rettangolari che chiudono il lato est della piazza.
“Al silenzio risponderemo con il silenzio”, è il nuovo motto del governo israeliano, ripetuto ossessivamente dai telegiornali: ma quello assordante di Tel Aviv è la risposta attonita e angosciata del paese al rumore assordante e alle immagini drammatiche dei bombardamenti e combattimenti che in queste ore stanno devastando Gaza.
Adachiara Zevi, architetto
(1 agosto 2014)