J-Ciak – Menachem Golan (1929-2014)

Menachem GolanLui, che aveva sempre sognato di vincere a Cannes senza mai riuscirci, a maggio si è tolto la soddisfazione di vedere al festival la storia della sua vita. E dietro le quinte – poco prima della proiezione di “Go Go Boys”, il documentario di Hilla Medalia dedicato alla sua vicenda presentato quest’anno sulla Croisette – Menachem Golan pare si sia rappacificato con il cugino e socio storico Yoram Globus. Un finale da film per un uomo come Golan, produttore e regista scomparso pochi giorni fa a 85 anni, che al cinema si è dedicato con tutte le sue forze.
La sua è una storia d’altri tempi, di quelle destinate a restare nella mitologia del cinema. Nasce nel 1929 a Tiberiade, in una famiglia emigrata dalla Polonia e fin da ragazzino s’innamora del cinema (per pagarsi l’ingresso aiuta a proiettare i sottotitoli delle pellicole nella sala del paese). Combatte nella guerra di Indipendenza come pilota ed è allora che cambia il nome originario di Globus nel più ebraico Golan.
A trent’anni si sposta con i suoi negli Stati Uniti, studia alla film school della New York University e grazie a un rocambolesco viaggio fino a Monte Carlo ottiene da Roger Corman – re incontrastato dei B-movie e regista di “La piccola bottega degli orrori” – un lavoro come autista. È l’avvio di un apprendistato folgorante (tanto per capirci, l’assistente di Corman è allora Francis Ford Coppola) che nel giro di pochi anni vedrà Golan avviato al successo.
Negli anni seguenti il ragazzino di Tiberiade produce più di 200 film e ne dirige oltre 40. Inizia in Israele, dove allora il cinema muove i primi timidi passi. Nel 1963, con la Noah Film fondata assieme al cugino Yoram Globus, dirige “El Dorado”, suo primo lavoro, un noir che vede debuttare Chaim Topol e vende quasi 800mila biglietti: un record in un paese che allora conta circa due milioni di abitanti.
Un anno dopo è la volta di “Salah Shabati”, scritto e diretto dall’umorista Efraim Kishon, che narra di un uomo di origini yemenite alle prese con la sua nuova vita in Israele. Il film (delizioso, vale la pena vederlo) è candidato all’Oscar ed è il primo lavoro israeliano a vincere il Golden Globe per il miglior film in lingua straniera.
Arriva il grande successo di “Kazablan” (1974), film musicale con Yehoram Gaon, anch’esso diretto da Golan. Poi un’altra nomination all’Oscar per “Operation Thunderbolt” (1977), diretto dallo stesso Golan e dedicato all’operazione portata a termine dagli israeliani a Entebbe, in Uganda, per liberare un gruppo di ostaggi sequestrati dai terroristi: film per certi versi scontato e retorico, ma ancora oggi tra i caposaldi del cinema made in Israel.
Nel 1978 è infine la volta di “Lemon Popsicle”, in ebraico “Eskimo Limon”, una sorta di American Graffiti israeliano che incanta una generazione e testimonia ancora una volta il gran fiuto di Menachem Golan per il gusto popolare.
Poi il grande salto in America. Nel 1979 Golan e Yoram Globus acquisiscono la Cannon Films che macina una quantità incredibile di B-movie. Le sue star sono Chuck Norris, Jean-Claude Van Damme, Charles Bronson e Sylvester Stallone: tra i successi “Il giustiziere della notte”, “Delta Force”, “Superman IV”, “I dominatori dell’universo”, “Gli avventurieri della città perduta”.
Ma per Golan non è abbastanza. Vuole anche la qualità e lavora con John Cassavetes, Jean Luc Godard, Sam Shepherd, Liliana Cavani, Barbet Schroeder. Produce Pan Cosmatos, Robert Altman e Andrej Konchalovskj. Arriva a Cannes con i suoi film, che pubblicizza in maniera clamorosa con poster coloratissimi e grandi annunci sui giornali e su questo anticipa i tempi. Nell’84 ne ha più di uno in concorso e decine sul mercato (“non è Cannes, ma il Cannon Film Festival”, scherzerà).
Alla fine del decennio la bolla però esplode. Investimenti azzardati – uno per tutti “Over the top” con Stallone pagato 12 milioni di dollari – e brutti film portano la Cannon sull’orlo del fallimento. Entra il finanziere Giancarlo Parretti. Golan si scontra con il cugino, e lì i due smettono di rivolgersi la parola, lascia la Cannon e torna in Israele.
La favola è finita. Menachem Golan si rimette al lavoro con la 21st Century Pictures, produce film musicali, gira un film sull’assassinio di Gianni Versace, torna al teatro. Ma è assediato dai creditori, la sua casa di Los Angeles è sequestrata. La polizia lo arresta nel 2010 per aver cercato di lasciare il paese malgrado gli sia stato vietato, lui accuserà gli agenti di averlo malmenato. Nel 2013 è ricoverato per una caduta.
Sembra un declino inarrestabile ma ancora una volta la fortuna gira. A maggio di quest’anno, il vecchio leone del cinema torna al festival di Cannes, ancora una volta da protagonista, per rivivere i suoi giorni di gloria sul grande schermo: omaggiato e riverito da tutti. D’altronde lo diceva lui stesso. “I film ci fanno vivere due volte – spiegava tempo fa in un’intervista a Chris Hubert – Quando sono al cinema dimentico la storia della mia vita, sono nella storia del film ed è un’altra vita. Credo che solo il cinema può darci questo… Un film non è solo arte, come la musica e la pittura, è la vita”. Ok, è un finale che strappa la lacrima. Ma in fatto di cinema Menachem Golan non era certo uno snob.


Daniela Gross

(14 agosto 2014)