Israele – La protesta delle tende in cucina
Uno dei risultati più evidenti della “Protesta delle tende” che nell’estate del 2011 ha unito a Tel Aviv associazioni studentesche, sindacati, gruppi politici anche molto diversi in qualcosa di molto simile a un laboratorio dove dare vita a nuove idee, è la nascita di una trentina di cooperative. Partendo dal Rotschild Boulevard, la protesta contro il caro affitti si è rapidamente trasformata nel tentativo di creare una piattaforma sociale comune e altre alla richiesta di più giustizia sociale le molte nuove idee che vi sono nate sono state il segnale della grande voglia dei giovani israeliani di partecipare al processo democratico, di sviluppare nuovi progetti. In cooperativa.
Yifat Solel, presidente della Cooperatives Alliance for Social, Economic, and Environmental Justice racconta come nel 2011 si sia formata in strada una vera e propria vita comunitaria e accanto all’iniziativa dei singoli (circa mezzo milione le persone coinvolte) sono state molte le ditte che hanno messo a disposizione i beni più disparati, dalle tende ai bagni chimici agli scaffali colmi di libri forniti da alcune librerie della città. Non ha stupito allora che lo spirito collettivo che caratterizza gli israeliani si sia riflesso nel mondo in cui i singoli partecipanti hanno messo in comune conoscenze, esperienze e strumenti professionali. Non dovrebbe stupire allora un fenomeno che punta a sviluppare maniere differenti di “fare businnes”: Solel sostiene che “Le cooperative sono il modo più concreto per cambiare l’economia senza cambiare governo” e sottolinea che oltre a quelle già esistenti – che vanno dal supermercato al gruppo di singoli che lavorano nel sociale – ci sono frequenti richieste di informazioni su come si debba procedere per formarne altre.
Nel 2012 la stessa Solel ha partecipato alla fondazione di Bar-Kayma, il primo ristorante cooperativo israeliano che a Tel Aviv in un palazzo di tre piani a oltre al cibo – vegano – offre una sorta di centro comunitario che funziona anche come base per gli attivisti. Dafne Brenkel, sua socia, spiega che le tende, dove erano nate cucine comuni, laboratori erano un evidente tentativo di trovare un modo di vivere differente, e “semplicemente ci siamo chiesti come sarebbe stato possibile continuare, e mantenerlo vivo e vitale”. Così, alla partenze di Bar-Kayma i soci erano 70, ma sono arrivati ora a superare i 400: la “quota” di iscrizione è di circa 230 euro, e permette di avere voce in tutte le decisioni che vengono prese, con la libertà di partecipare poco o tanto, in totale libertà.
Discussioni aperte e franche, decisioni prese insieme, ecosostenibilità, e il tentativo di costruire un modello di businnes che sia circolare, non piramidale. Tutti i dipendenti vengono pagati allo stesso modo (circa il 20 per cento in più del minimo vigente in Israele) e i soci che non sono anche dipendenti possono guadagnare una sorta di stipendio virtuale lavorando come volontari quando necessario, se vogliono, oppure semplicemente godersi il posto, a prezzi scontati.
Importante lo chef, Ilan Peled, che ha avuto un ruolo determinante nella cooperativa da quando è entrato a farne parte, nel 2013: il menù fino ad allora abbastanza improvvisato, anche perché nessuno dei soci aveva una vera competenza nella ristorazione, e la scelta di utilizzare prodotti di stagione e di “lasciar parlare gli ingredienti” si è dimostrata vincente.
Nonostante i molti dubbi sulla sua sostenibilità economica – l’ottanta per cento dei nuovi ristoranti in Israele fallisce entro i primi due anni – Bar-Kayma a poco più di due anni dall’apertura è arrivato a non avere più perdite e dato che l’obiettivo è la sostenibilità del progetto, non il profitto, i soci possono dirsi soddisfatti. Un eventuale guadagno, è già stato deciso, verrebbe investito in un aumento degli stipendi, o in una riduzione dei prezzi, e la volontà dei soci, come spiega Dafne Brenkel “non è guadagnare, bensì di cambiare il mondo”.
Ada Treves twitter @atrevesmoked
(21 agosto 2014)