#IsraeleDifendeLaPace – “Tregua, verso nuove strategie”

Oggi è giorno di bilanci in Israele. A distanza di 50 giorni dall’inizio dell’operazione Margine Difensivo a Gaza, il governo di Gerusalemme, e il paese intero, valutano gli effetti del conflitto con Hamas e gli scenari che si prospettano nell’immediato futuro. Per comprendere l’intricata situazione israeliana e mediorientale, il Portale dell’Ebraismo Italiano, moked.it, ha voluto affidarsi alle autorevoli analisi di Vittorio Dan Segre, Sergio Della Pergola e Sergio Minerbi. “Finalmente dopo 50 giorni di guerra contro Hamas a Gaza, siamo arrivati ieri, martedì sera, al cessate il fuoco – afferma Sergio Minerbi, esperto di politica internazionale e già ambasciatore presso la Comunità Europea – Ma fedele a se stesso Hamas ha subito violato i patti e alle 19.15 ha ucciso due uomini del kibbutz Nirim con un tiro di bombe di mortaio. Israele non ha reagito. Ed è giunto il momento di pensare, cercando di farlo in profondità”. Partiamo dal futuro. Secondo il diplomatico israeliano Vittorio Dan Segre, di cui compare oggi un’approfondita analisi sul quotidiano elvetico Corriere del Ticino, i prossimi trenta giorni potrebbero essere propizi per il raggiungimento di un accordo tra le parti del conflitto. “Forse mai come in questo momento le condizioni per una graduale apertura reciproca verso non la pace ma un armistizio di lunga durata, con cui infondo Israele ha sempre vissuto e prosperato, sono paradossalmente più favorevoli – scrive Dan Segre, autorevole firma del giornalismo italiano – Il prolungamento all’infinito di questa guerra non conviene a nessuno, ma ancor meno ai palestinesi, come dimostra il drammatico bollettino quotidiano di guerra”. Se a un armistizio, come scritto da Segre, si arriverà, resta da capire con quale volto le due parti si presenteranno al tavolo delle trattative. Quasi impossibile da decifrare la situazione palestinese, in Israele invece sembrano profilarsi due opzioni: il rimpasto del governo o elezioni anticipate. Il perché, lo spiega il professor Sergio Della Pergola. “Il premier Netanyahu al momento è criticato sia da destra sia da sinistra. Ma il problema più grande è all’interno della sua coalizione con i ministri Avigdor Lieberman e Naftali Bennet (che insieme hanno 23 seggi in parlamento) pronti ad abbandonarlo”. Secondo l’illustre demografo e politologo, Netanyahu “ha agito responsabilmente”, decidendo per il cessate il fuoco, e questo nonostante le spinte all’interno del suo gabinetto perché si continuasse l’operazione a Gaza. Il primo ministro però, sottolinea Della Pergola, ha fatto “una manovra al limite, presentando al suo gabinetto la decisione che segnava la tregua senza metterla ai voti”. Oltre ai suoi ministri, anche il Sud di Israele non ha preso bene la scelta di Netanyahu di evitare una seconda operazione via terra a Gaza e di sospendere le azioni militari. “Adesso pagherà in termini di voti – scrive Benny Morris, cui analisi è riproposta oggi sul Corriere della Sera – gli abitanti del sud diventeranno un gruppo di pressione e non molleranno la presa fino alle elezioni”. Elezioni che secondo Della Pergola potrebbero arrivare, ma non prima di 6 mesi, forse nel 2005. “L’altra opzione è il rimpasto di governo ma per sostituire Liberman (Israel Beitenu) e Bennet (HaBait HaYehudi), il primo ministro dovrà far entrare nel governo i haredim, pagando un prezzo altissimo in termini di politica interna”.
Mentre Netanyahu fa le sue valutazioni, “le rispettive delegazioni si recheranno al Cairo – sottolinea Minerbi – ed è già chiaro che Israele acconsentirà all’apertura dei valichi verso Gaza solo se verrà rispettata la calma. Si noti che perfino durante le ostilità, Israele ha mantenuto aperto il valico verso la Striscia di Gaza per i generi di prima necessità”. “Hamas – spiega il diplomatico – ha cambiato il suo atteggiamento solo quando, fallita la tregua precedente, Israele ha preso di mira i notabili del movimento, colpendoli con grande precisione. I capi del Hamas residenti nel Qatar volevano continuare le ostilità ma quelli rimasti a Gaza sono stati costretti al cessate il fuoco. Ma il più rimane da fare se si vogliono gettare le basi di una pace durevole coi palestinesi e di nuovo si pensa ad Abu Mazen nonostante le sue recenti dichiarazioni”.
Secondo Vittorio Dan Segre, le prossime tappe della questione israelo-palestinese dovrà tenere conto di un nuovo equilibrio tra Israele e Hamas: “a Gaza entrambi hanno compreso la reciproca incapacità di eliminarsi. Nuova strategia e nuovi sistemi militari si impongono ora alle parti con una probabile conseguenza: il controllo di Gaza non sarà più soltanto israeliano ma misto o internazionale”. E in questo quadro, per Dan Segre, un ruolo di rilievo lo ha assunto il capo militare di Hamas Mohammed Deif, che sembra essere sopravvissuto al raid israeliano contro la sua casa. “La sua sopravvivenza è fondamentale sia per Hamas sia per gli Hezbollah libanesi e per l’Iran, che hanno pilotato questa guerra a distanza”, scrive Dan Segre. Perché è Deif l’uomo che ha scavato “una città sotterranea per far cadere in trappola le forze israeliane”. Un dedalo di tunnel che ancora oggi costituisce una minaccia e una sfida per Israele. Perché lo Stato ebraico di fronte non ha solo Hamas ma anche l’Iran. “Senza l’aiuto di Teheran sarebbe stata tecnicamente impossibile per Deif creare la città sotterranea (una rete di tunnel in lastre di cemento armato prefabbricate, dotata di un sistema di comunicazione avanzato). – scrive Segre – Teheran mirava, con questo sforzo enorme dal punto di vista del coordinamento a distanza, a sondare la capacità israeliana di sfondare con un eventuale attacco aereo le protezioni delle sue strutture atomiche. Se da una parte l’Iran ha raggiunto il suo scopo, dall’altra questa guerra impone a Israele uno sforzo di intelligence e di sviluppo tecnologico geofisico finora imprevisto”.
Hamas è dunque una pedina di uno scacchiere molto più ampio: dietro il movimento terroristico ci sono il citato Iran, il Qatar e la Turchia. Un fronte pericoloso per Israele, e non solo, che ha deciso di dare fiducia all’Egitto del generale Al-Sisi per rompere il suo isolamento nell’area. “Israele fa quello che deve fare: cercare di dialogare con i sunniti moderati”, spiega Della Pergola, che sulle pagine del Corriere avvisava l’Occidente, intento a mostrare il suo sdegno per le atrocità degli estremisti islamici in Iraq, che la situazione a Gaza non è così differente. L’equazione Hamas – Isis, infatti regge. E, per dirla con le parole dello storico Benny Morris, “I fondamentalisti sunniti e sciiti stanno combattendosi adesso, ma prima o poi si uniranno contro di noi”.

d.r

(27 agosto 2014)