Israele – Big Bambu, arte per la coesistenza

Big bambuC’è un limbo sottilissimo tra ordine e caos, tra organizzazione e improvvisazione, tra solidità e leggerezza. Proprio in questo spazio infinitesimale avvengono i miracoli più incredibili, permessi dall’equilibrio che solo un insieme di calcoli precisi e parole confuse può creare. In questo luogo, raro e ineffabile, esiste Big Bambú, l’ultima opera dei gemelli Starn installata nei giardini dell’Israel Museum di Gerusalemme. Diecimila canne di bambú. Ottantamila metri di corda da arrampicata. Venticinque arrampicatori di rocce. Sedici metri di altezza. Sette settimane. Zero schizzi architettonici. Questi i numeri di Big Bambú, un ammasso di canne dalle sembianze di un’enorme partita a Shangai, che fa coesistere diverse serie di opposti in una delle opere più accattivanti mai esposte nel celebre museo israeliano.
Guardare non basta, toccare nemmeno. I visitatori non si lasciano intimorire dall’imponenza dell’opera: vogliono scalarla, viverla e respirarla. E l’opera accoglie ogni visitatore, si lascia scoprire nelle sue ripide scalette, nel suo caos apparente e nella calma estetica che regala passo dopo passo. “Il concetto di Big Bambú non ha nulla a che vedere con il bambú” ha spiegato Mike Starn. “Big Bambú rappresenta l’invisibile architettura della vita e degli esseri viventi. È la casuale interdipendenza di momenti, traiettorie che si intersecano e azioni che diventano interazioni, innescando crescita e cambiamento”. Stando al fratello Doug, l’opera è un esempio di “ingegneria filosofica”.
Nati negli Stati Uniti nel 1961, i gemelli Starn condividono quasi tutto: dall’aspetto fisico alla passione per l’arte e per la creatività. Dopo un esordio in ambito fotografico, l’interesse per i temi del caos e dell’interdipendenza li ha portati ad occuparsi di una serie di sculture dal titolo Big Bambú, inaugurata per la prima volta sul tetto del Metropolitan Museum di New York. Il successo dell’opera, interpretabile su piani molto diversi, dal più elementare al più complesso, ha portato gli Starn a riproporre nuove versioni del medesimo concetto in location tanto esclusive quanto differenti tra loro: il Museo d’Arte Contemporanea di Roma, la Biennale di Venezia e il Museo di Naoshima in Giappone. Città dopo città, i Big Bambú seguono il medesimo fil rouge, ma l’idea di fondo sembra reinventarsi ogni volta: non a caso sono gli stessi fratelli Starn a dichiarare che ogni opera è fortemente influenzata dall’ambiente circostante in cui viene installata. Il Big Bambú di Gerusalemme, in esposizione dal 16 giugno 2014, ha un nome: 5,000 Arms To Hold You. Cinquemila braccia per abbracciarti. E ci si sente letteralmente abbracciati dalle eleganti canne di bambù, mentre si rimira la capitale israeliana dalla location più esclusiva e artistica mai proposta prima d’ora. Gli artisti sono riusciti a creare uno spazio di comfort anche qui – incastrati tra gli stretti passaggi dell’opera, si celano dei divanetti, rigorosamente fatti di canne di bambú, su cui sono adagiati dei cuscini colorati. Ai gemelli Starn piace fare le cose fino in fondo, e infatti, accanto ai divanetti, vi sono dei porta-bicchieri pronti ad ospitare gustosi cocktail dal gusto esotico. Inutile poi aggiungere il valore simbolico del bambú, materiale che compare più volte anche nel Tanach.
“È la prima volta che un lavoro in bambú viene commissionato agli Starn senza un vincolo architettonico” ha dichiarato James S. Snyder, direttore dell’Israel Museum. Infatti Big Bambú è stato costruito in uno spazio aperto, senza la limitazione imposta dai tetti veneziani, tantomeno quella richiesta dalle dimensioni del tetto del Metropolitan Museum. L’installazione israeliana non è incastrata in un complicato scenario architettonico, ma è posta di fronte al drammatico panorama gerosolimitano, creando dunque una tensione tra opera e città. “Dall’inizio della sua creazione, Big Bambú ha attivato il nostro giardino con l’energia della sua forma emergente, agendo da metafora delle riflessioni degli Starn” ha aggiunto Snyder.
In una Gerusalemme che riesce a rinnovarsi continuamente pur restando saldamente attaccata ad una tradizione millenaria, Big Bambú avvolge turisti e nativi in un connubio tra natura, arte, fisica, architettura e ingegneria. Con un messaggio di interdipendenza che nasce dall’esperienza personale dei gemelli Starn, costretti per natura ad accettarsi a vicenda, e che diviene universale in una Gerusalemme cosmopolita e multietnica dove la coesistenza tra diversi è all’ordine del giorno.

Simone Somekh, Pagine Ebraiche, Ottobre 2014

(5 ottobre 2014)