Israele – Ultimo giorno della legislatura

knessetTra poche ore, a meno di clamorose sorprese, avrà fine la diciannovesima legislatura dello Stato di Israele. Nel tardo pomeriggio sono infatti previste le due votazioni per confermare lo scioglimento della Knesset, decisione già approvata la scorsa settimana. Governo Netanyahu al capolinea, dunque, ma c’è ancora tempo per l’approvazione di alcuni provvedimenti, come si è visto nell’accesa riunione della Commissione Finanze di questa mattina: la previsione di un ulteriore finanziamento da destinare alla difesa e agli insediamenti ha fatto infuriare l’opposizione, che ha contestato al governo un’informazione tardiva in merito alla decisione. Si tratta, spiegano dall’esecutivo, di una ricollocazione di un’eccedenza del bilancio 2013 e dell’importo del budget 2014 non utilizzato. Ma il provvedimento dell’ultima ora non è piaciuto e i contrasti della politica israeliana si sono fatti sentire all’interno della commissione Finanze. Il clima accesso e una situazione tesa con Siria – dopo un presunto raid israeliano che ha distrutto alcuni depositi vicino Damasco e di cui oggi la Russia, vicina ad Assad, chiede conto a Gerusalemme – hanno fatto passare abbastanza sotto traccia la petizione firmata da quasi novecento personalità israeliane, tra cui gli scrittore Amos Oz, David Grossman e A. B. Yehoshua così come dal premio Nobel Daniel Kahneman, in cui si chiede ai paesi europei di riconoscere subito lo stato di Palestina, senza attendere i negoziati con Israele. “Certamente bisogna arrivare alla creazione di uno Stato palestinese – il commento a Pagine Ebraiche 24 del demografo Sergio Della Pergola, docente all’Università Ebraica di Gerusalemme, rispetto all’iniziativa degli intellettuali israeliani – ma questo è il punto di inizio non il punto finale del negoziato”. “Buffo poi il momento in cui si è deciso di pubblicare questa petizione – sottolinea Della Pergola – proprio quando il mondo politico israeliano si sta riorganizzando”. E, probabilmente proprio a causa della situazione burrascosa interna, i quotidiani israeliani non hanno dato molto clamore alla notizia, concentrandosi soprattutto sulla definizione del futuro politico del paese. I firmatari si dicono “preoccupati dal prolungato stallo politico e dall’occupazione e dagli insediamenti che portano a ulteriori scontri con i palestinesi e minano le possibilità per un compromesso. È chiaro – si legge nella petizione appoggiata anche dall’ex portavoce della Knesset Avraham Burg e dall’ex ministro Yossi Sarid – che le prospettive per la sicurezza e l’esistenza di Israele dipendono dall’esistenza di uno Stato palestinese al fianco di Israele. Israele dovrebbe perciò riconoscere lo Stato di Palestina e questa dovrebbe riconoscere lo Stato di Israele basato sui confini del 4 giugno 1967 La vostra iniziativa per il riconoscimento dello Stato palestinese porterà avanti le prospettive di pace e incoraggerà israeliani e palestinesi a porre fine al loro conflitto”.La missiva è diretta al parlamento belga e a quello irlandese che dovrebbero in questi giorni vagliare un’opzione di questo tipo ma è aperta a tutti i paesi del Vecchio Continente (i cui ministri degli Esteri si riuniranno tra quattro giorni a Bruxelles). La Svezia è fino ad ora l’unica ad aver riconosciuto ufficialmente lo Stato palestinese ma il parlamento britannico e quello francese hanno approvato due mozioni che chiedono ai rispettivi governi di seguire la via seguita da Stoccolma.
Ieri una risposta indiretta agli intellettuali – e ai paesi che stanno valutando cosa fare rispetto al riconoscimento – è arrivata dal primo ministro Benjamin Netanyahu, intervenuto al Saban Forum, conferenza statunitense dedicata al Medio Oriente. “Voglio che Israele raggiunga la pace con i palestinesi: una pace duratura, genuina, sicura”. “Per nove mesi abbiamo negoziato con i palestinesi – ha dichiarato il premier – ma loro hanno costantemente rifiutato di dare risposta alle nostre legittime preoccupazioni sulla sicurezza così come hanno continuato a rifiutare di discutere il riconoscimento di Israele come Stato ebraico mentre insistevano per ottenere il riconoscimento dello Stato palestinese”. La fine dei negoziati, ha dichiarato Netanyahu, è stata causata dalla scelta di Abu Mazen, leader dell’Autorità nazionale palestinese, di creare una coalizione unica con il movimento terroristico di Hamas, che controlla la Striscia di Gaza. Finché non ci sarà un partner che può garantire la sicurezza di Israele, la presa di posizione del primo ministro di Israele, non si potrà arrivare alla pace. Dalle pagine di un quotidiano egiziano, Abbas ribalta la situazione, accusa Israele di non voler la pace e promette che andrà avanti nella strada dell’Onu per il riconoscimento della Palestina. Il leader dell’Anp nega poi la possibilità di riconoscere Israele come Stato ebraico, “è contro i nostri interessi”, tra i quali Abbas enuncia il ritorno dei sei milioni di rifugiati palestinesi. “Dobbiamo trovare una soluzione creativa perché non possiamo chiudere le porte a chi vuole tornare”. Poi l’affondo in cui paragona la proposta del riconoscimento del carattere ebraico di Israele – contrastata dal presidente israeliano Reuven Rivlin – con l’estremismo dell’Isis. “Israele aspira a uno Stato ebraico, e l’Isis aspira a uno Stato islamico, ed eccoci qua, sospesi tra l’estremismo ebraico e quello islamico. Abu Bakr Al-Baghdadi avrà una scusa per creare uno Stato islamico dopo che la legge dello Stato ebraico sarà approvata”. Parole indigeste per Gerusalemme, viste come l’ennesimo tentativo di delegittimare lo Stato di Israele.

Daniel Reichel

(8 dicembre 2014)