Qui Roma – Yom Hazikaron, un giorno per ricordare
La bandiera a mezz’asta. Nessun applauso e un rispettoso silenzio che cala nel Palazzo della Cultura di Roma. Sono centinaia le persone che ieri non hanno voluto mancare alla commemorazione di Yom Hazikaron, il giorno nel quale tutta Israele si ferma e ricorda le vittime del terrorismo, della guerra e i soldati caduti per la difesa del paese. Il giorno del ricordo, Izkor, che precede quello dell’Indipendenza, Yom Hazmaut. Stasera saranno infatti migliaia gli israeliani che, muniti di bandiera, scenderanno nelle piazze per festeggiare il sessantasettesimo compleanno dello Stato ebraico.
Ad aver organizzato a Roma la commemorazione dei soldati, l’Ambasciata d’Israele in Italia che, per l’occasione, ha fatto accendere un lume in memoria di Momo Sed, ebreo romano scomparso tragicamente nel 1979 dopo essersi arruolato nella tzhal, l’esercito israeliano.
Davanti al numeroso pubblico e alle autorità, tra cui non sono voluti mancare il rabbino capo della Comunità ebraica di Roma Riccardo Di Segni e il presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Renzo Gattegna, a prendere la parola è l’ambasciatore d’Israele in Italia Naor Gilon: “Nel nostro paese il giorno del ricordo si celebra una settimana dopo Yom HaShoah e ciò ha un grande valore simbolico: finché Israele esisterà, gli ebrei di tutto il mondo non dovranno temere che si verifichi una nuova Shoah. In questa giornata di lutto tutta Israele è più unita che mai ed è con l’unità, achdut, e la determinazione che dobbiamo difendere il nostro Stato dal pericolo del terrorismo. Dobbiamo lavorare insieme per rafforzare Israele”. Kobi Regev, addetto militare dell’Ambasciata d’Israele aggiunge: “Oggi Israele si stringe alle famiglie dei caduti e ricorda come la guerra non sia la nostra ragione di esistere. Crediamo alla pace e faremo in modo che chiunque voglia la distruzione del nostro Stato non vinca mai”. Viene letto infine il discorso del Capo di stato maggiore Gadi Eizenkot: “Portiamo il dolore e il vuoto dei nostri soldati morti per difendere Israele e continueremo ad agire per il ritorno dei soldati dispersi”.
La parola passa al presidente della Comunità ebraica di Roma Riccardo Pacifici: “Per me è una grande emozione vedere così tante persone accorse per rendere omaggio alle vittime del terrorismo e ai soldati israeliani caduti per difendere non solo Israele, ma anche il popolo della diaspora. La Comunità ebraica di Roma era solita celebrare solo Yom Hazmaut e il numero di partecipanti di oggi, dei quali solo quelli seduti sono 650, è la dimostrazione di quanto invece anche Yom Hazikaron sia diventato un appuntamento importante. Contro il terrorismo, contro la paura, la dimostrazione più grande è ritrovarci qui dentro, dentro una scuola ebraica. Ed è proprio la scuola che ci salverà sempre”.
Dopo le tradizionali canzoni dedicate al ricordo cantate dai bambini e ragazzi delle scuole ebraiche e dei movimenti giovanili e dal coro Ha Kol, la commemorazione si chiude con l’inno nazionale che celebra la speranza: l’Ha’tikva.
Rachel Silvera
Di seguito una commovente testimonianza fatta pervenire alla redazione dal professor David Cassuto e pronunciata il 4 Nissan scorso, data del 67esimo anniversario dell’attentato al convoglio diretto al monte Scopus. In quell’attacco perse la vita la madre Anna, già duramente provata dalla Shoah e dalla perdita del marito Nathan, rabbino capo a Firenze nei mesi più bui, deportato e ucciso ad Auschwitz-Birkenau. Il testo è stato adattato da Cesare Pavoncello.
Sono passati 67 anni da quella amara e frenetica giornata. Da allora continuiamo ad
incontrarci ogni anno. Allora eravamo giovani. Con gli anni siamo maturati e oggi i
capelli, di chi ne ha ancora, sono diventati grigi. Ma il dolore non si è alleviato, è
ancora con noi, come se il terribile evento sia avvenuto ieri; un evento la cui gravità
supera qualsiasi cosa Tzahal si sia mai trovato di fronte.
Alcuni giorni fa siamo andati a compiere il nostro dovere civile verso questo nostro
Paese, per la cui nascita c’era in quei giorni una grande aspettativa; chiunque ne
prenderà in mano la guida, dovrà affrontare le sfide difficili che ci sono di fronte,
senza deviare a destra o a sinistra: il nostro futuro dipende solo da noi.
Allora non sapevamo ancora cosa ci aspettava: i paesi arabi ci dichiararono guerra
sicuri che in pochi giorni sarebbero usciti vincitori dal confronto con il giovane
popolo! Ma questo giovane popolo la pensava diversamente e ha invece vinto quella
sanguinosa guerra. Abbiamo poi ancora vinto duri e numerosi scontri e non abbiamo
altra scelta che affrontare e vincere anche gli altri scontri che ci aspettano in futuro.
La mamma, che il suo ricordo sia benedetto, è caduta nel convoglio dopo esser
sopravvissuta ai campi di sterminio in Polonia, dopo esser tornata a riprendere i suoi
figli – me, mia sorella Shoshana e mio fratello Daniel – sotto la sua protezione.
Pensava che le sue preoccupazioni fossero terminate. Ma la Storia la pensava
diversamente e per questo non ha avuto l’onore di vederci crescere sul promettente
suolo del nostro Stato – dello Stato d’Israele.
Nonostante il dolore, mamma, siamo cresciuti, ci siamo sviluppati e abbiamo
mantenuto le speranze che tu e Papà avevate infuso in noi prima che le nostre strade si
dividessero.
Il babbo è stato ucciso nella maledetta terra polacca, ma tu sei tornata a noi; ti
abbiamo abbracciato ma non per molto; sei caduta qui, in prossimità del luogo in cui
ci troviamo oggi, mentre insieme ad altro personale dell’Università e dell’Hadassa,
stavate salendo al Monte Scopus per mettere in atto la vostra vocazione verso i malati,
verso il popolo ebraico, verso l’intera umanità. Una mano feroce e traditrice ha
spezzato le vostre vite nel mezzo.
Il nonno, M. D. Cassuto, ti ha dedicato uno speciale ricordo in una lettera dal titolo
“Dove sei, figlio mio?”, che aveva scritto a sé stesso quando ancora non sapeva quale
sorte fosse toccata al babbo.
“Dove sei, figlio mio? Lontano dai tuoi anziani e inconsolabili genitori, lontano dai
tuoi figli in fiore, in tutto e per tutto degni di te … La tua giovane esistenza è stata
stroncata dalla mano crudele del nemico, dalla quale un benevolo dono della
Provvidenza salvò la dolce e cara compagna della tua vita per darle la gioia di
riabbracciare i suoi figli e di riprendere la sua opera per loro e per concederle poi
l’onore di sacrificare la sua vita nell’eroica lotta del popolo nostro per la sua libertà.
… Dove, dove sei, figlio mio?”
Fratelli miei, sorelle mie, notate bene ciò che dice qui il vecchio professore: ” l’onore
di sacrificare la sua vita nell’eroica lotta del popolo nostro per la sua libertà …”. Se
questa terribile tragedia fosse avvenuta oggi, si sarebbero sollevate grida di protesta:
“Settantotto caduti … commissione d’inchiesta …”. Non era questo, lo spirito di allora
e sarebbe bene che non lo fosse neanche oggi: ogni caduto, tanto nella Guerra di
Indipendenza quanto in Tzuk Eytan – l’Operazione Margine di protezione – come
pure in tutte le altre operazioni belliche avvenute in questo lungo periodo, merita di
salire e stare di fronte al trono di onore; tutti i 23.169 caduti sono morti per la
santificazione di D-o, del popolo e della Terra e a noi, in piedi, a capo chino, è vietato
lamentarci della loro morte; questo è il prezzo di uno Stato, questo è il prezzo di una
sovranità , questo è il prezzo della vita come Nazione indipendente.
Oggi ci troviamo di fronte a un mondo ostile che ha già dimenticato che cosa abbiamo
passato solo 70 anni fa, che cerca di accusarci di false colpe che non hanno alcuna
base nella realtà e che torna a osteggiarci come se non si fosse compiuta nei nostri
confronti una terribile shoà, come se non avessimo eroicamente sostenuto per 67 anni
innumerevoli e continue guerre, instancabilmente, sempre pronti e determinati a
combattere.
Verrà il giorno, mamma, in cui sarà dimostrato che la tua perdita – insieme a quella
degli altri caduti in questo convoglio e di tutti i caduti nelle operazioni belliche che
hanno coinvolto Israele – non è stata vana e questo popolo vedrà sorgere la pace. Ma
ciò accadrà solo se saremo pronti a lottare per essa.
Dice il proverbio romano: Si vit pacem para bellum – se vuoi la pace prepara la
guerra. Noi vogliamo la pace e la raggiungeremo forti e rafforzati.
Nonostante tutte le calunnie che ci vengono da ogni parte del mondo, dimostriamo a
noi stessi e al mondo il nostro vantaggio morale che trova espressione in tutti i campi
della vita: nella scienza, nella medicina, nella agricoltura, nell’arte, nella letteratura,
nell’economia e in altro ancora… e non di meno nell’enorme miracolo della nostra
esistenza come Stato! Di certo porteremo la benedizione a questa zona satura di
guerre e odio e infine capiranno tutti gli abitanti della nostra regione, che i vantaggi
che noi offriamo a loro e a tutti i popoli del mondo, sono una benedizione
insostituibile e alla fine questa benedizione porterà la pace tanto auspicata da tutti.
Cara madre! Abbiamo mantenuto la missione che avevi riservato a noi, tuoi figli, e
noi e i nostri figli e i figli dei nostri figli e tutto questo meraviglioso popolo,
seguiremo la via dell’amore, della verità e della pace verso un futuro che porterà con
sé benedizione e sicurezza a tutto il mondo ……… Grazie!
David Cassuto
(22 aprile 2015)