Rav Elio Toaff (1915-2015)
I ricordi e le emozioni della Piazza

toaff“Cosa ricordo di rav Toaff? Conservo di lui tantissime belle immagini. Non dimenticherò mai per esempio quando girava per la piazza e faceva le berachot, la benedizione, ai ragazzi che si trovavano lì”, racconta Elisabetta. “Abbiamo avuto tante lunghe conversazioni. Ricordo ancora per esempio quando parlammo nei corridoi del ruolo della donna nell’ebraismo e lui mi invitò nel suo ufficio perché voleva terminare il discorso”, incalza Emma. “Era una persona fantastica, e tra le altre cose abbiamo una sua foto bellissima al nostro matrimonio”, si commuove Angelo. 20 aprile 2015: l’ultimo omaggio degli ebrei romani al rav Toaff prima del trasferimento del feretro a Livorno, sua città d’origine, per riposare al fianco della moglie. Centinaia di persone si ritrovano al Portico d’Ottavia, con il quartiere che si riempie di ricordi e aneddoti sul suo lungo operato. Molti gli uomini e le donne che emozionati rievocavano le passeggiate del rav Toaff nel ghetto, i suoi saluti calorosi e la sua Berachà che risuonava nel Tempio durante lo Shabbat. Spiega Liana: “Il rav, con il suo volto di uomo buono e la sua preghiera, è stato per me e per la mia famiglia il simbolo della continuità. Ha sposato i miei genitori, ha unito me e mio marito in matrimonio e quando mia figlia ha deciso di convolare a nozze, ancora un’altra volta abbiamo voluto che officiasse lui, il nostro rav. Nonostante fosse già molto anziano, non ha voluto mancare nemmeno questa volta”.

Karin piccola “Posso parlare solo per sentito dire, in quanto come tutti i ragazzi e le ragazze della mia generazione non ho avuto modo di conoscere il rav Toaff bene di persona, ma nemmeno di vivere gli anni di profondi cambiamenti in cui è stato rabbino capo di Roma” spiega Karin Guetta, studentessa universitaria ventitreenne di una famiglia romana di origine tripolina.
Karin ha voluto comunque essere presente insieme a tantissime altre persone per rendere omaggio al rabbino emerito, che anche i più giovani conoscono e ricordano con grande affetto.
“Quello che posso sicuramente dire ‐ afferma Karin ‐ è che so che rav Toaff è stato un rabbino che attraverso il suo atteggiamento sensibile e la sua apertura ha fatto in modo di avvicinare molte persone alla religione in un periodo storico difficile come quello vissuto dalla Comunità all’indomani della Seconda Guerra Mondiale. So anche che per questo stesso aspetto nel corso del tempo è anche stato criticato da alcune persone, sostenitrici della necessità di un diverso approccio”.
“Per quanto come in ogni ambito sia legittimo portare avanti delle critiche, al di là di ogni considerazione di carattere religioso ‐ conclude Karin ‐ sono convinta del fatto che il rav Toaff sia stato un rabbino capo di questa Comunità perfetto per il periodo storico in cui ha vissuto”.

Del Monte piccola Vicino a Luciano e Giovanni, dei quali leggete in pagina i ricordi, siede davanti alla scuola ebraica, nel cuore del Portico d’Ottavia, Cesare Del Monte. Mentre ascolta in silenzio i suoi amici rievocare il rabbinato del rav Toaff, sorride quando c’è da sorridere e si oscura in volto quando il gruppo fa riferimento al corteo funebre che si svolge a pochi metri di distanza. Quando gli viene chiesto di raccontare un suo ricordo che lo lega in modo particolare al rabbino Toaff, Del Monte spiega: “Beh, ricordo sicuramente quando ha sposato me e mia moglie”.
Poi, mentre sembra aver terminato, aggiunge a bassa voce: “La verità è che rav Toaff mi ha salvato la vita”.
“Mi ha salvato – continua – perché tanti anni fa ogni volta che scendeva in piazza, nell’antico Ghetto, e vedeva me e i miei amici non mancava mai di dare a ognuno di noi la sua berachà, la sua benedizione. Quando anni fa mi sono trovato di fronte a momenti critici della mia esistenza e, grazie a D‐o, me la sono cavata, ho mandato un pensiero al Rav e a tutte le benedizioni che ci ha dato in questi anni. L’ho ringraziato in silenzio perché è proprio vero: la sua berachà allunga la vita”.

Laura Di Segni piccola Laura Di Segni sta in piedi fuori dalla porta del suo negozio all’ingrosso di biancheria sul Portico d’Ottavia, il cuore pulsante della zona. Guarda da quella posizione la folla, commossa e attonita, in fila.
C’è chi va di fretta in pausa dal lavoro perché ci tiene a esserci anche per pochi minuti, qualcun altro è spaesato perché non sa da che parte deve passare per via delle transenne che rendono le vie gremite più ordinate e più sicure, altri camminano invece più lenti prendendosi un momento di riflessione nell’allontanarsi dalla sinagoga e contemporaneamente anche dalla casa del rav che abitava proprio lì di fronte, la cui finestra è aperta dalla sera prima, quando la Comunità si è riunita in preghiera appena ricevuta la triste notizia. “Salutava sempre con calore e aveva la caratteristica di essere sempre gioioso”, racconta Laura.
“Ho un ricordo bellissimo di lui, provo nei suoi confronti un grande affetto – aggiunge – anche perché mi ha sposato”. Pochi metri più in là, un signore assiste a questa conversazione. Sorridendo guarda Laura e le chiede: “Ma gliel’hai detto che il rav Toaff ti ha sposata?”. Viene fuori che quel signore è suo marito Angelo Zarfati, che si avvicina per posare in una fotografia con la moglie. E conclude: “Era una persona meravigliosa, e tra le altre cose abbiamo una foto bellissima di lui proprio al nostro matrimonio”.

Liana Della Rocca piccola Avvicinandosi a un nutrito gruppo di persone in fila per dare l’ultimo saluto al rav Toaff, alla domanda di raccontare un proprio ricordo o un proprio episodio personale, alcuni preferiscono tacere.
Quando lo chiediamo a lei, Liana Della Rocca, romana da generazioni, fa un ampio sorriso e si illumina: “Ho tanti ricordi della mia infanzia che mi legano al rav e mi sentivo e mi sento ancora molto legata a lui. Il rav con il suo volto di uomo buono e la sua preghiera è stato per me e per la mia famiglia il simbolo della continuità”. “Perché? Beh perché ha sposato i miei genitori, ha unito me e mio marito in matrimonio e quando mia figlia ha deciso di convolare a nozze, ancora un’altra volta abbiamo voluto che officiasse lui, il nostro Rav. E nonostante fosse già molto anziano non ha voluto mancare nemmeno questa volta”.
Sono tante le voci che si riempiono nella piazza e che, come Liana, ricordano il rav Toaff come il protagonista indimenticabile del proprio matrimonio celebrato durante il cinquantennio del suo rabbinato romano: c’è chi ha una foto incorniciata e chi semplicemente, sorridendo accanto al coniuge conferma con orgoglio, che sì, a unirli in matrimonio è stato proprio lui.

Tina B piccola Nel corso dei cinquanta anni passati ricoprendo la carica di rabbino capo della Comunità ebraica di Roma (dal 1951 al 2001), rav Toaff ha dovuto affrontare cambiamenti epocali.
Dopo essersi trovato a dover ricostruire l’ebraismo romano dopo la Shoah, una delle sfide più grandi è arrivata nel ’67, quando nuclei di ebrei libici sono giunti nella capitale dopo essere fuggiti mentre infuriava la rivoluzione che portò Muammar Gheddafi al potere. Centinaia di famiglie, la cui gran parte aveva perso i propri beni, che dovevano introdursi e ambientarsi una comunità completamente diversa da quella di origine. A dare la propria preziosa testimonianza è Tina Baranes che, dopo essere arrivata da Tripoli a Roma a poco più venti anni, divenne una delle storiche professoresse di ebraico e cultura ebraica della scuola: “Ho tanti ricordi del rav Toaff da non riuscire a riassumerli tutti. Uno in particolare: quando iniziai a lavorare nella scuola ebraica, ero comprensibilmente un poco disorientata e in quel periodo il rav mi diede tanti consigli. Nonostante i suoi impegni lo occupassero moltissimo, fu un solido punto di riferimento e fondamentale aiuto mentre mi inserivo in questo ambiente per me nuovo. Ha incoraggiato la mia carriera di insegnante ed è stato davvero umano. Credo fermamente che lo ricorderò sempre per la benevolenza e l’affetto con cui ha accolto tutti noi”.

Boccione piccola “Devo tornare di corsa a lavorare in negozio ma non potevo non passare per portare il mio saluto al rav”. Elisabetta Calò racconta perché ha deciso di partecipare ed essere presente.
Il negozio nel quale deve tornare velocemente è Boccione, l’antico forno del Portico d’Ottavia che gestisce con la sua famiglia e dove accorrono moltitudini di appassionati ogni settimana per assaggiare la tipica pizza con l’uvetta e la frutta secca o la crostata di ricotte e visciole.
“Cosa mi ricordo di rav Toaff? Conservo di lui tantissime belle immagini. Non dimenticherò mai per esempio quando girava per la piazza e faceva le berachot, la benedizione, ai ragazzi che si trovavano lì. In quella occasione non mancava mai di entrare dentro il negozio e farla anche alla nostra famiglia. L’ultima volta che l’ho visto era affacciato dalla finestra di casa sua, vicino al Tempio Maggiore, e sorrideva. Era davvero una gran bella persona e il suo carisma resterà per sempre nel mio cuore”.

Emma Alatri piccola “Conoscevo molto bene il rav Toaff, l’ho incontrato la prima volta nel 1946, a un campeggio a Petrace, in Val Badia, organizzato dai giovani ebrei italiani, che si sono riuniti immediatamente dopo che Roma è stata liberata per cominciare a organizzare attività” racconta Emma Alatri, ex insegnante e poi direttrice della scuola elementare della Comunità ebraica di Roma. All’epoca Toaff era rabbino capo della Comunità di Venezia, e a quel campeggio, a cui era andato accompagnato dalla moglie e dai due figli, “faceva tutto, il rabbino, il moreh, macellava la carne e tantissime altre cose”.
Poi nel 1951 il rav si è spostato a Roma, e nel maggio del 1952 ha sposato Emma con suo marito Gino Fiorentino. “All’epoca si faceva tutto con grande semplicità, ci siamo sposati a casa, lui è venuto e da allora non è mai mancato a nessun evento della mia vita familiare”. Ma il rapporto di Emma Alatri Fiorentino con il rav Toaff è diventato anche lavorativo quando lui l’ha chiamata nel 1988, dopo tanti anni di insegnamento, a dirigere la scuola ebraica. “È stato una della persone che ha sempre sostenuto le istituzioni scolastiche, ci teneva molto ai bambini”, sottolinea la nostra interlocutrice. “Abbiamo avuto tante lunghe conversazioni, ricordo ancora per esempio quando parlammo nei corridoi del ruolo della donna nell’ebraismo e lui mi invitò nel suo ufficio perché voleva terminare il discorso. Alla fine aveva ragione lui”, sospira. Tra i numerosi aggettivi che usa per descriverlo, la morah lo definisce “un uomo democratico, una persona straordinaria a tutti i possibili livelli”.

Trio piccola Nella lunghissima e ordinata fila anche il trio composto da Alberto Veneziani, la signora Sara Calò e la signora Fiorella Di Segni. Racconta Veneziani: “Il rabbino capo emerito era una persona straordinaria, quello che si definisce ‘un rabbino di tutti’. Aspettavamo insieme di vederlo compiere cento anni e la sua scomparsa a pochi giorni dalla data ci ha lasciato sgomenti”.
“Pur essendo di una modestia e semplicità esemplare – continua – aveva una cultura eccezionale”. Come noto, rav Toaff si trovò a gestire la Comunità ebraica nel delicatissimo periodo del dopoguerra, facendo da punto di riferimento alle famiglie dei reduci sopravvissuti alla persecuzione nazista. A testimoniarlo è Sara Calò, figlia della Shoah: “Mio padre Angelo Calò tornò dall’inferno di Auschwitz, ma purtroppo gli storici non hanno fatto in tempo a scoprire la sua testimonianza perché morì a soli 48 anni e in un periodo nel quale ancora nessuno aveva la forza di raccontare. Quando mi ritrovai di fronte a una delle sfide della vita, rav Toaff mi fu davvero di sostegno e mi fece leggere i salmi tutti i giorni. Per quanto fummo educati dalla nostra famiglia in maniera laica ci fece riscoprire il valore dell’ebraismo”. “Pensando ad Angelo Calò, ho solo un unico grande rimpianto – conclude Veneziani – lui aveva un diario sul quale appuntava tutti i suoi pensieri, un giorno lo prestò a un suo amico che non glielo ha più restituito: sono certo che ritrovarlo sarebbe una grande occasione per riscoprire una storia”.

Luciano piccola Davanti alla scuola ebraica, un poco distaccati dal corteo, si riuniscono loro: un gruppo di uomini anziani ma dalla tempra forte che hanno gli occhi di chi ha visto fin troppe cose. Non se la prendono se vengono definiti ‘abitanti di piazza’, anzi ne sono fieri. Si muovono tra le strade con la sicurezza di chi in quelle vie ha giocato per anni a calcio, ha manifestato durante i momenti duri per gli ebrei romani e si è riunito ogni pomeriggio con gli amici di una vita. Giovanni Calò e Luciano Coen, dopo un po’ di ritrosia decidono di condividere il proprio ricordo di rav Toaff. Quando Coen decide di parlare si fa subito serio e, con gli occhi lucidi mentre gli altri ascoltano in rispettoso silenzio, racconta: “Quando rav Toaff passava per la piazza aveva una luce intorno a sé, trasmetteva un calore che portava tutti noi a volergli stare vicino. Era una persona che sapeva emozionare”. Le persone vicine annuiscono, mentre Giovanni Calò aggiunge: “Quello che trasmetteva, anche solo con la sua presenza, ha segnato la Comunità di Roma per tutta la vita”.
“Io ‐ conclude Coen ‐ non ho alcun interesse a finire sui giornali o a rilasciare delle dichiarazioni. Ma è importante che le persone sappiano cosa il rav Toaff ha rappresentato per tutti noi”.

Gabriele Fiorentino piccola Gabriele Fiorentino, un giovane ebreo romano dottorando in ingegneria civile e consigliere Ugei, ha voluto essere presente sia al momento di preghiera che si è svolto al Tempio Maggiore poche ore dopo aver appreso della scomparsa del rabbino capo, sia la mattina dopo prima che il rav tornasse a riposare a Livorno. Di lui Gabriele condivide un ricordo della sua infanzia: “Ero un bambino, avevo circa dieci anni e frequentavo la scuola elementare della Comunità, quando nel 1995 ci fu il compleanno degli ottant’anni del rav. Per i festeggiamenti previsti insieme agli alunni della scuola, ci chiesero di scrivere un piccolo componimento in versi su di lui o su qualcosa a cui lui ci aveva fatto pensare. Tuttavia io devo ammettere di essermene dimenticato, e me ne ricordai solamente la mattina stessa in cui avrei dovuto consegnarlo. Corsi da mio papà, si dà il caso che sia un abilissimo verseggiatore, e molto velocemente riuscì a darmi una mano per trovare qualche rima che suonasse bene e a comporre una piccola filastrocca per il rav Toaff. Alla fine però, quei versi pur essendo frettolosi riscossero un grande successo, in quanto furono selezionati dalle morot per essere tra quelli effettivamente letti di fronte al rav e a tutta la scuola. Ero un bambino piuttosto timido e rammento ancora la sensazione di dovermi alzare in piedi di fronte a tutte quella classi e al Rav, ma sono contento di avere un ricordo che mi faccia spuntare un sorriso”.

A cura di Rachel Silvera e Francesca Matalon

da Italia Ebraica, maggio 2015

(24 aprile 2015)