Israele – Netanyahu si regge su un voto
Israele ha un nuovo governo grazie all’intesa trovata in extremis ieri notte dal primo ministro Benjamin Netanyahu e il leader di Habayt HaYehudi Naftali Bennett. Un governo che si regge però su una maggioranza di un solo seggio (61 sui 120 totali) e quindi profondamente instabile. A Netanyahu non è bastato sbaragliare con il suo Likud avversari e pseudo-alleati alle elezioni di marzo per dare seguito alla promessa pre-elettorale di voler dare a Israele un esecutivo più stabile e solido. “I cittadini israeliani meritano un governo nuovo, migliore, più stabile; un esecutivo più rappresentativo che possa governare”, aveva affermato il Primo ministro lo scorso dicembre, ponendo fine al suo governo, licenziando i suoi ministri della Giustizia e delle Finanze (ovvero Tzipi Livni e Yair Lapid) e indicendo nuove elezioni. Alle urne, contro i pronostici della vigilia, Netanyahu era riuscito a ottenere una chiara vittoria: 30 seggi contro i 24 del partito di centro-sinistra Unione Sionista, guidato da Isaac Herzog e Tzipi Livni. Eppure, come scrive Nahum Barnea sul quotidiano Yedioth Ahronoth, in Israele “c’è una sola cosa peggiore di perdere le elezioni. Vincerle”. E così dopo 42 giorni di intense trattative Netanyahu si è trovato con l’inattesa defezione del suo ex braccio destro Avigdor Lieberman – che lunedì ha dichiarato di voler sedere all’opposizione – e con un Naftali Bennett improvvisamente catapultato in una posizione di assoluta forza. Tanto da portare in dote al suo partito, oltre al ministero dell’Educazione e quello per l’agricoltura, anche quello di grande rilievo della Giustizia, su cui siederà Ayelet Shaked, poco amata, secondo quanto riferiscono i quotidiani israeliani, da Netanyahu e signora.
Il grande risultato al tavolo delle trattative da parte di HaBayt HaYehudi – che siederà in una coalizione formata dal partito di centro destra di Kulanu, e i religiosi di Shas e Yahadut HaTorah – è stato definito da alcuni uomini del Likud “un’estorsione”. Secondo Yedioth Ahronoth, all’interno del partito di Netanyahu vi sarebbe un profondo scontento, in particolare per le posizioni ancora a disposizione all’interno dell’esecutivo, ritenute di poco prestigio. Per questo la norma che limita i ministeri a 18 probabilmente verrà modificata, in modo da garantire ai vertici del Likud – come Miri Regev, posizionatasi nella top five del partito alle primarie – incarichi considerati consoni.
Molti analisti israeliani in queste ore, dopo l’annuncio dell’accordo con Bennett, stanno criticando aspramente la capacità diplomatica di Netanyahu. Tra questi, il direttore di Times of Israel David Horowitz: “Netanyahu sa chiaramente vincere le elezioni”, scrive Horowitz ma “costruire efficaci e sostenibili alleanze politiche? Si è dimostrato che è al di là delle sue capacità”.
Secondo alcuni i giochi – come per Yossi Verter di Haaretz – non sono ancora fatti. Netanyahu ha lasciato vacante il ministero degli Esteri, tenendolo al momento per sé, con l’idea di convincere nei prossimi mesi Isaac Herzog ad entrare nella coalizione e formare così un governo di unità nazionale. Secondo Verter, emissari dei due grandi partiti stato cercando di preparare il campo a questa eventualità, eppure Herzog ancora oggi continua a negare che si tratti di una strada percorribile. “Non saremo la ruota di scorta e non abbiamo nessuna intenzione di salvare Netanyahu dalla fossa che si è scavato da solo”, ha dichiarato Herzog. “Ha appena rinunciato a tutto ciò che aveva e si arreso alle pressioni di Bennett. Questo è un esempio di come per lui (Netanyahu) la sopravvivenza politica sia più importante di tutto. Questa non è leadership ma codardia”, la stoccata del leader dell’Unione Sionista.
Uno dei passaggi chiave per la tenuta di questa risicata maggioranza sarà in ogni caso l’approvazione del prossimo Bilancio, previsto per questa estate. Entro i prossimi sette giorni, invece, il nuovo governo dovrà prestare giuramento e insediarsi così ufficialmente. Allora si scopriranno gli incarichi distribuiti da Netanyahu all’interno della sua coalizione. Sempre che presto non cambi.
Daniel Reichel
(7 maggio 2015)