Israele e la mossa del Vaticano
“Questa mossa non promuove il processo di pace e allontana la leadership palestinese dal ritornare a negoziati diretti e bilaterali”, questo il commento emesso dalle fonti diplomatiche israeliane a proposito dell’annuncio fatto nelle scorse ore dal Vaticano riguardo all’imminente firma di un accordo “tra la Santa Sede e lo Stato di Palestina”, che continua a suscitare forti preoccupazioni in Israele e fra diversi esponenti del mondo ebraico. La definizione “Stato di Palestina”, ripreso dall’organo ufficiale della Santa Sede, non era mai stata utilizzata per definire la realtà palestinese e prefigura un riconoscimento seppur indiretto dello Stato palestinese.
“Disappunto” per un “passo prematuro”, la reazione dell’Anti-Defamation League (organizzazione internazionale impegnata nella lotta all’antisemitismo) che per bocca del suo direttore, Abraham Foxman, spiega che questo riconoscimento non fa che “rafforzare la strategia palestinese di ottenere uno Stato attraverso sedi internazionali e non attraverso il riconoscimento, la riconciliazione e la negoziazione con Israele”. “Un’azione unilaterale non rispecchia il mandato espresso dalla risoluzione delle Nazioni Unite che afferma che un accordo di pace deve essere raggiunto attraverso negoziati diretti tra le parti”, la bocciatura di Betty Ehrenberg, presidente della Commissione ebraica internazionale per i rapporti interreligiosi, che risponde indirettamente a monsignor Antoine Camilleri, sottosegretario per i Rapporti con gli Stati, che nell’ampia intervista pubblicata oggi (giovedì 14 maggio) sull’Osservatore Romano, afferma che sarebbe “positivo che l’accordo raggiunto potesse in qualche modo aiutare i palestinesi nel vedere stabilito e riconosciuto uno Stato della Palestina indipendente, sovrano e democratico che viva in pace e sicurezza con Israele e i suoi vicini, nello stesso tempo incoraggiando in qualche modo la comunità internazionale, in particolare le parti più direttamente interessate, a intraprendere un’azione più incisiva per contribuire al raggiungimento di una pace duratura e all’auspicata soluzione dei due Stati”.
La dichiarazione della Chiesa in merito allo Stato palestinese non è “da interpretare come qualcosa di drammatico”, il pensiero di rav David Rosen, direttore internazionale per i rapporti interreligiosi dell’American Jewish Committee e Consigliere al Gran Rabbinato di Israele, che interpellato dal New York Times prova a gettare acqua sul fuoco. “Dal punto di vista del Vaticano – spiegava rav Rosen – c’è una nuova nomenclatura ma nella sostanza, non credo che nessuno possa concludere che papa Bergoglio sia ora in qualche modo meno impegnato rispetto alla sicurezza e al benessere di Israele”.
L’accordo emerso dalle trattative, guidate dal sottosegretario Camilleri per la Santa Sede “e dall’Ambasciatore Rawan Sulaiman, Ministro degli Affari Esteri aggiunto per le Questioni Multilaterali dello Stato di Palestina” – come da definizione del Comunicato congiunto delle due diplomazie pubblicato sull’Osservatore Romano – sarà sottoposto alle rispettive autorità per l’approvazione e “tratta degli aspetti essenziali della vita e dell’attività della Chiesa cattolica in Palestina”. Nello specifico, la libertà di azione della Chiesa nei territori palestinesi, il suo personale e la sua giurisdizione, lo statuto personale, i luoghi di culto, l’attività sociale e caritativa, i mezzi di comunicazione sociale, le questioni fiscali e di proprietà. Nell’intervista a Camilleri si parla anche delle trattative in corso tra il Vaticano e Israele per la stipulazione di un accordo economico, un percorso avviato nel marzo del 1999 e che potrebbe presto arrivare a compimento. “È quasi pronto – spiega il capo della diplomazia vaticana – mi auguro possa essere presto firmato a beneficio di ambo le parti. Trattandosi di diverse questioni tecniche piuttosto dettagliate, nelle quali sono implicati diversi dicasteri, le trattative hanno preso più tempo del previsto, anche perché a volte i lavori sono stati rallentati da altri fattori. Tuttavia, anche se entrambi gli accordi, quello con gli israeliani e quello con i palestinesi, riguardano la presenza della Chiesa in Terra Santa, si tratta di due intese indipendenti l’una dall’altra”
Daniel Reichel