J-Ciak – Sul grande schermo di Gerusalemme

a.k.a nadiaDopo l’annuncio del film di apertura – che sarà “Mia madre” di Nanni Moretti, in proiezione giovedì 9 luglio nella magnifica cornice della Sultan’s Pool – il Jerusalem Film Festival svela il programma di questa trentaduesima edizione. 
Come già nel passato, protagonisti assoluti dei film in concorso sono le luci e le ombre dell’attualità d’Israele.  
Mentre negli Stati Uniti esce domani, con il titolo “A Borrowed Identity – Un’identità in prestito” il film di Eran Riklis che racconta di un ragazzino arabo che con fatica tenta di conquistare un’identità israeliana, il festival, che lo scorso anno doveva aprirsi proprio con questo lavoro (ma con il titolo “Arab Dancers”), torna sulla questione.
“A.K.A. Nadia” di Tova Ascher, che proprio con Riklis aveva lavorato in “Il giardino di limoni” (2008), “La sposa siriana” (2004) e “Il responsabile delle risorse umane” (2010), narra la vicenda di Maya Goldwasser, donna in carriera, madre e moglie che vive da israeliana pur essendo nata, come Nadia, da una famiglia araba. Dopo vent’anni il passato, alimentato dal razzismo e dalla xenofobia, ritorna assieme alla domanda se sia davvero possibile reinventare la propria vita. 
“The Man in the Wall” di Evgeny Ruman si sposta su un crinale più sottile, con la vicenda del giovane Rami che una sera sparisce. Nell’arco di una notte amici e vicini faranno visita alla moglie Shari cercando di capire cosa può essergli accaduto e chi è in realtà lo scomparso.
“Tikkun” di Avishai Sivan, che nel 2008 aveva vinto a Cannes la Caméra d’Or per “The vagabond”, s’inoltra invece nel mondo ortodosso, illuminando la crisi di coscienza di un padre che riesce a riportare in vita il figlio morente. Brillante studioso, invidiato da tutti per il suo talento e la sua osservanza, il giovane dopo la crisi cambierà profondamente. La gioia del padre sfumerà negli incubi e in una drammatica crisi di coscienza.
C’è invece un tocco romantico, nel dramma che vede contrapposte Hagit a sua madre in “Wedding Doll” di Nitzan Gilady, che in precedenza aveva diretto “In Satmar Custody”. La ragazza, che soffre di un lieve disturbo mentale, s’innamora. Ma la faccenda non è così semplice: la madre le ha dedicato tutta la sua vita e stenta a lasciarla andare e nemmeno il lavoro di Hagit in fabbrica sembra più così sicuro.
jeruzalemDi tutt’altro genere “jeruzalem (work in progress)” di Doron e Yoav Paz. Il film segue due giovani americane che assieme a un misterioso studente di antropologia si inoltrano nella Città vecchia di Gerusalemme. Sembra un viaggio come tanti, finché i tre rimangono bloccati da una sorta di apocalisse biblica.
Il programma del Jerusalem Film Festival non si esaurisce qui ma prosegue con un ricco carnet di lungometraggi, corti e documentari che includono lavori da tutto il mondo. Si segnalano in particolare l’omaggio al grande documentarista Albert Maysles, da poco scomparso (il suo ultimi lavoro, “Iris” dedicato a Iris Apfel, è uscito un mese fa nelle sale americane) e il consueto omaggio all’esperienza ebraica nel mondo, che propone fra l’altro “Our Boys”, documentario di Richard Trank che ripercorre la drammatica vicenda di Gilad, Naftali ed Eyal rapiti e uccisi un anno fa in Israele.

Daniela Gross

(Nell’immagine in alto una scena del film “A.K.A. Nadia”, in quella in basso una scena di “jeruzalem (work in progress)”)

(25 giugno 2015)