Israele – “Il miglior accordo possibile”
Sull’accordo iraniano, la voce della politica israeliana è piuttosto chiara. Le posizioni del Primo ministro Benjamin Netanyahu sono rumorosamente contrarie all’intesa, così come quelle di tutta la destra israeliana. Anche la sinistra in realtà non si è detta favorevole all’accordo siglato a Vienna da Stati Uniti, Francia, Gran Bretagna, Cina, Russia, Germania e, ovviamente, Iran. Il leader laburista Isaac Herzog, intervistato dall’americano Atlantic, ha parlato di “un patto che porterà il caos nel Medio Oriente”. Ma in Israele non tutti hanno posizioni critiche o scettiche rispetto all’accordo strenuamente difeso in queste ore dal presidente Usa Barack Obama. “Non viviamo in un mondo ideale e non esistono accordi ideali. E non esiste nemmeno un Medio Oriente ideale”, ha dichiarato in un’intervista Amy Ayalon, ex direttore dei servizi di Intelligence d’Israele (lo Shin Bet), secondo cui l’intesa di Vienna “non è stata un errore ma la scelta migliore tra le alternative possibili”. Per Ayalon, con un passato all’interno dell’esecutivo del laburista Ehud Barak, Israele deve guardare avanti ed evitare di intervenire sul Congresso americano per cercare di influenzarne il giudizio rispetto all’accordo. Ora, suggerisce Ayalon, è necessario collaborare con l’Intelligence americana ed europea per fermare la crescente influenza dell’Iran in tutto il Medio Oriente. Un’influenza, sottolinea dalle colonne di Yedioth Ahronoth Israel Ziv, ex generale dello Stato Maggiore israeliano, che l’Iran si è guadagnato in particolare negli ultimi tre anni e senza bisogno del nucleare. Anche per Ziv l’accordo è la migliore alternativa possibile. “Un’azione militare – spiega il generale – non sarebbe riuscita ad ottenere nemmeno il 20 per cento di quanto ha ottenuto l’accordo, senza menzionare il rischio di una nuova escalation di violenza con Hezbollah, che un’operazione contro l’Iran avrebbe generato. L’accordo è un fatto assodato e non è particolarmente cattivo per quanto Israele sia preoccupata”. Usa l’ironia invece, il professor Uzi Even, docente di fisica dell’Università di Tel Aviv nonché uno degli scienziati che ha lavorato al reattore nucleare di Dimona (nel Negev). “Tutti quanti rilassatevi, Israele può vivere con l’accordo iraniano”, il titolo del suo intervento sempre su Yedioth Arhonoth. Anche lo scienziato parla della firma di Vienna come una scelta “preferibile alla situazione attuale, perché ritarda la capacità dell’Iran di sviluppare una bomba nucleare di almeno 15 anni e, in pratica, ne blocca le aspirazioni nucleari”. “Le attuali strutture iraniane saranno obbligate a cambiare: l’impianto sotterraneo di Fordow non arricchirà più l’uranio; il reattore di Arak, che è il più temuto a causa della sua capacità di produrre una bomba al plutonio, verrà ridisegnato in modo che diventi impossibile arricchire plutonio a fini militare. L’Iran deve anche garantire che non cercherà di produrre uranio in nessuno dei suoi reattori attuali”, la spiegazione dello scienziato israeliano, secondo cui anche ritardare di quindici anni il regime degli Ayatollah su un’eventuale creazione di una bomba nucleare significa molto: “in quindi anni in Medio Oriente può succedere di tutto”. “Non c’è un mondo perfetto e non esiste un accordo perfetto”, ha ribadito Ayalon a Jeffrey Golberg dell’Atlantic, sottolineando che “la nozione del ‘per sempre’ nell’Ebraismo non coincide con un’idea pragmatica. Quando il Messia arriverà, le cose saranno perfette. Nel mentre dobbiamo essere pratici”.
Anche l’ebraismo americano sembra spinto nella direzione indicata da Ayalon e, almeno secondo le statistiche dell’organizzazione J-Street (gruppo di pressione ebraico che si autodefinisce filoisraeliano e pacifista), la maggior parte della Comunità d’oltreoceano è schierata dalla parte del presidente Obama e ha fiducia nel suo operato. Secondo il citato giornalista Jeffrey Goldberg – che oltre a scrivere per l’Atlantic è una delle firme di punta del giornale ebraico Forward – è necessario superare la divisione pro e contro accordo, perché oramai è un dato di fatto. Per Goldberg, l’ebraismo americano ora deve impegnarsi a fare pressione sull’amministrazione americana perché operi un controllo stringente sull’Iran, in modo da tutelare Israele e non solo, da eventuali violazioni del governo di Teheran.
Daniel Reichel
(17 luglio 2015)