Israele – Conversioni, è scontro aperto

israele - conversioni con rav rabinovichPiù che un sasso è un macigno quello gettato da un consistente gruppo di rabbini nello ‘stagno’ del sistema delle conversioni israeliano. Un macigno che, secondo alcuni media locali, potrebbe propagare onde tanto alte da portare a una “rivoluzione”, a “un cambiamento epocale” nel mondo religioso israeliano. Cosa è successo? Un consistente numero di rabbini ortodossi del movimento sionista religioso, guidati da rav David Stav, leader dell’organizzazione Tzohar, e da rav Nachum Rabinovich, a capo della Yeshiva Birkat Moshe di Maale Adumim, ha istituito un sistema di tribunali per le conversioni all’ebraismo alternativo a quello del Rabbinato centrale d’Israele, unico organo a cui è riconosciuta dallo Stato la giurisdizione sulle conversioni stesse. Motivo scatenante di questa scissione, la volontà di creare dei tribunali rabbinici “più aperti alle necessità delle persone”, spiegava in un’intervista rav Shlomo Riskin, rabbino capo di Efrat e tra i motori di questo cambiamento. L’obiettivo principale del gruppo dei “ribelli” (anche se rav Riskin ha negato si tratti di una “ribellione”), è concentrarsi sulle conversioni, nel rispetto della halakha – la legge ebraica -, dei figli delle persone immigrate dall’ex Unione Sovietica (oltre 350mila). “Molte di loro – scrive la giornalista Amanda Borschel-Dan – si sono sempre riconosciute come ebree ma sono identificate come ‘senza religione’ in termini di status personale”. Ovvero, secondo l’halakha applicata dal Rabbinato centrale d’Israele, non sono riconosciuti come ebrei. “Ci sono quasi 100.000 bambini che dovrebbero essere convertiti – spiega rav Stav al sito di informazione Arutz Sheva – Questi minori sono coinvolti nella società israeliana, vanno in scuole ebraiche, vanno all’università, servono insieme a noi nell’esercito”. Ed è a loro, afferma rav Stav, che il gruppo Giyur Ka’halacha – letteralmente Conversione secondo la halakha – si rivolge. “Non si tratta di un attacco al rabbinato – commenta rav Seth Farber, tra i promotori del nuovo sistema e impegnato con la sua organizzazione Itim ad aiutare i nuovi immigrati a relazionarsi con la burocrazia del rabbinato centrale – Abbiamo cercato di collaborare esclusivamente con il sistema monopolistico vigente per risolvere il problema delle conversione ma non ha avuto successo. I rabbini – conclude rav Faber, riferendosi a chi sostiene Giyur Ka’halacha – sono convinti vi siano delle autentiche alternative halakhiche”.
“L’arrivo di esuli e la grande immigrazione dall’ex Unione Sovietica rappresentano sfide considerevoli per lo Stato di Israele, che richiedono decisioni responsabili e coraggiose da parte dei leader del popolo, sia sul piano halakhico-rabbinico e a livello nazionale”, scrivono in una nota i rabbini del Giyur Kahalacha, spiegano la necessità dell’istituzione di rabbini di tribunali alternativi. “La nostra responsabilità morale – continua la nota – è per garantire l’assorbimento e la piena integrazione degli immigrati, per il loro bene e per il proseguimento del popolo ebraico”.
Secondo Anshel Pfeffer di Haaretz, la mossa dei rabbini “ribelli sfida l’intera struttura dell’ebraismo ortodosso in Israele, dove sono i leader dell’ebraismo ultra-ortodosso a decidere gli standard da seguire, poi applicate dal Rabbinato centrale dello Stato”. “Tutto ciò che hanno fatto è stato sfidare le restrizioni introdotte dai rabbini ultra-ortodossi negli ultimi decenni, che richiedono un grado molto più stringente di osservanza religiosa per i potenziali convertiti”. Per Pfeffer, la riforma delle conversioni – che rimane nell’alveo dell’ortodossia – guidata da rav Stav e rav Rabinovich, avrà ulteriori conseguenze. “I nuovi convertiti un giorno potrebbero sposarsi sotto la chuppah (baldacchino nuziale). Questo significa che il rabbinato sarà costretto a riconoscere retroattivamente le conversioni ribelli oppure negarli il permesso di sposarsi in Israele. Il passo successivo – continua il giornalista – saranno matrimoni ortodossi alternativi, forse anche Tribunali per il divorzio alternativi. Ma non si fermerà qui; infatti non si sta fermando qui già ora”. Perché ad essere messi sul tavolo sono ad esempio anche l’interpretazione del ruolo delle donne o delle regole della casherut, con conseguenze che per Pfeffer potrebbero andare ben oltre a quanto preventivato dal gruppo Giyur Ka’halacha.
Mentre il Rabbinato centrale non ha ancora ufficialmente risposto agli “scissionisti”, alcuni rabbini capo di città israeliane e guide di yeshivot hanno preso posizioni contro i tribunali alternativi. “Le conversioni private sono un duro colpo alla nostra unità nazionale e scuotono le fondamenta stesse della nostra definizione come Stato ebraico – scrivono i sostenitori dell’attuale sistema -Si tratta di una separazione de facto tra religione e stato, in totale contraddizione con la nostra santa Torah, la sola fonte della nostro pensiero sionista religioso”.
A cercare di trovare un compromesso tra le due posizioni, Naftali Bennet, ministro dell’Educazione e leader del movimento HaBayt HaYehudì. La valutazione di Bennet sui dissidenti è in generale positiva – “sono felice che si sia stato un risveglio” – ma il ministro la considera una mossa politica per riportare in vigore la riforma sul decentramento dei tribunali rabbinici recentemente affossata alla Knesset dai partiti ultra-ortodossi. La riforma prevedeva la possibilità per i rabbini delle municipalità israeliane di avere la possibilità di istituire ufficialmente delle corti rabbiniche per le conversioni, sotto la supervisione dei rabbini capo. “Ciò che deve accadere alla fine e che cercherò di fare nei prossimi mesi – ha dichiarato Bennet – è quello di arrivare a una sorta di compromesso o comunque un piano che ripristini il controllo sotto il Gran Rabbinato ma con una decentralizzazione del potere. In altri termini – continua il ministro – permettere alle commissioni di continuare i percorsi di conversioni, riadottando la decisione del governo precedente. In caso contrario, sorgeranno sempre più iniziative private (in merito alle conversio, ndr) e così distruggeremo lo Stato ebraico. Non siamo diventati uno Stato ebraico in Terra d’Israele, per avere shtetl di diverse comunità anche qui”.

Daniel Reichel

(14 agosto 2015)