Il messaggio del rav Jonathan Sacks
Ebraismo, baluardo di civiltà

sacks “Guardarsi l’ombelico non è necessariamente la risposta migliore per il popolo ebraico in questo momento”. Vuole dare un segnale forte il rav Jonathan Sacks, ex rabbino capo del Regno Unito e del Commonwealth ed esponente di spicco dell’ebraismo europeo, con il suo nuovo libro intitolato “Not in God’s Name”, focalizzato sulla lotta all’odio e al fanatismo religioso. Ne parla in un’intervista alla Jewish Telegraphic Agency, in cui affronta i temi della lotta all’antisemitismo, della crisi della leadership mondiale, del dibattito interno all’ebraismo e del dialogo interreligioso come unica soluzione ai conflitti generati dall’integralismo. “Viviamo in un mondo molto pericoloso. Il popolo d’Israele è esposto a un grande pericolo, e questo non è il momento per lotte intestine. Dobbiamo tenerci per mano e lavorare fianco a fianco con i cristiani, i musulmani moderati, gli umanisti laici e persone di tutte le altre confessioni in difesa della libertà religiosa e dei valori umanitari, perché ci troviamo a una delle svolte più delicate della storia”, ha affermato.
L’ebraismo, spiega Sacks, si è sempre contraddistinto come baluardo contro il fondamentalismo, inteso come “il tentativo di imporre una singola verità in un mondo plurale”. E in virtù di questo ruolo, spiega il rav, il popolo ebraico e Israele sono il simbolo della lotta alle forze terroristiche di al-Qaida o dell’Isis.
Sulla lotta contro l’antisemitismo, Sacks ha sottolineato che si tratta di un problema reale, accentuato secondo il rabbino dal modo di parlarne degli ebrei stessi, rischioso perché “rispondere lamentandosi con altri ebrei o utilizzando un linguaggio che potrà essere compreso solo da loro è del tutto inutile”. Ma per Sacks se non è sicuro essere ebrei in Europa, “non è sicuro nemmeno essere un essere umano in Europa – ha concluso – e se l’Europa perdesse i suoi ebrei perderebbe la sua anima”.
Di seguito si riporta integralmente un messaggio diffuso dal rav Sacks agli ebrei in Israele e in tutto il mondo, intitolato “A Single Person with a Single Heart” (“Un’unica persona con un unico cuore”). Un appello all’unità del popolo ebraico e un invito a lottare per i suoi valori in un momento di pericolo per Israele, ricordando che esso “è diventato la voce della speranza nel dialogo del genere umano, e una testimonianza forte del potere della vita per sconfiggere le forze delle tenebre e della morte”. Essere ebrei significa dunque “sentire il dolore ma andare avanti, conoscere la paura ma rifiutare di farsi intimidire, essere circondato dall’odio ma avere il coraggio di non rispondere con altro odio”.

Seduto qui a New York giovedì sera, in attesa di un aereo, ho ricevuto la telefonata angosciata di alcuni amici in Israele. Avevo parole da offrire loro in seguito a questi giorni e settimane di terrore?
Cosa fai quando il terrore colpisce, quando perdi ogni senso di sicurezza, quando ti senti circondato dall’odio, quando la voce della ragione è sommersa dal clamore della rabbia, quando ogni speranza per il futuro sembra persa e il mondo intorno a te è diventato oscuro? Questo, mi hanno detto, è quello che si provava stando in Israele negli scorsi giorni e nelle scorse settimane. E nel momento in cui ho sentito l’ansia e addirittura la disperazione nella loro voce, ho pensato a tutte quelle parole laceranti dal Libro dei Salmi:
“Dalle profondità t’invoco, o Dio”.
“Io sono per la pace, ma essi sono per la guerra”.
“Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”.
Ho sentito l’eco della sensazione di tradimento provata da Re David – “Ho detto con sgomento: ‘tutti gli uomini ingannano’”.
Ci sono altre parole che possono aiutarci nel viaggio dalle tenebre alla luce?
E mentre ascoltavo, all’improvviso ho sentito una voce, come se venisse dall’inconscio collettivo del nostro popolo, che diceva: siamo Am Israel, il popolo d’Israele, i discendenti non solo di Abramo l’iconoclasta, e di Isacco, il figlio quasi sacrificato, ma soprattutto di Giacobbe, Israel, perché Giacobbe ebbe una forza d’animo straordinaria che noi, i suoi figli, abbiamo ereditato. Giacobbe era la persona i cui più profondi incontri con Dio avvennero mentre era solo, di notte, lontano da casa e in fuga da un pericolo all’altro. È stato così quando ebbe la visione di una scala che si estendeva dalla terra in cielo, e si disse che sicuramente Dio doveva essere in quel luogo e lui non lo sapeva. Giacobbe è l’uomo che, in circostanze quasi identiche molti anni dopo, combatté la notte con un angelo, e si sentì dire che il suo nome sarebbe cambiato in Israel, cioè colui che combatte con Dio e con gli uomini e vince.
Giacobbe non visse mai in pace, ma in qualche modo prese tutta la paura e il dolore, la solitudine, l’isolamento e li trasformò in una visione celeste e trovò Dio nel bel mezzo di quel luogo e quel momento di pericolo. Giacobbe era l’uomo che recuperò la speranza dagli abissi della disperazione, e che seppe andare avanti nonostante la paura di Esaù e di Labano, nonostante persino la perdita del suo amato figlio Giuseppe, e che non smise mai di lottare con la storia e con il destino. Questo era l’uomo che ha in un certo senso ha lasciato in eredità a noi, i suoi discendenti, fino alla fine dei tempi, una forza interiore che va quasi oltre ogni immaginazione.
Il nostro è il popolo che è sopravvissuto a ognuno degli imperi che ha tentato di distruggerlo, che non ha ripagato con l’odio chi l’ha odiato, che invece di maledire il buio, ha acceso una luce che è diventata una fiamma eterna. È per questo che il popolo ebraico è diventato la voce della speranza nel dialogo del genere umano generazione dopo generazione, e una testimonianza forte del potere della vita per sconfiggere le forze delle tenebre e della morte. Essere un ebreo in cui risiedono lo spirito dei nostri antenati e le speranze delle generazioni a venire, significa sentire il dolore ma andare avanti, conoscere la paura ma rifiutare di farsi intimidire, essere circondato dall’odio ma avere il coraggio di non rispondere con altro odio. Questi sono alcuni tra i più grandi traguardi dello spirito umano ed è a essi che siamo chiamati oggi da ogni istante della nostra storia.
La paura è reale e il dolore è profondo, ma la fede portata dai nostri antenati ci accompagnerà mentre attraversiamo la valle delle ombre di morte verso la luce di un futuro promesso che ancora ci aspetta, quando un popolo angustiato troverà infine la pace, l’ultima delle nostre benedizioni, e tuttavia la più grande, presto nei nostri giorni. Questo è il momento in cui le preghiere di tutti gli ebrei – come un’unica persona con un unico cuore – sono per il popolo d’Israele e la terra d’Israele, il popolo e la terra che ci danno tanta forza e tanto orgoglio. Siamo forti e rafforziamoci l’un l’altro, fino a che la città il cui nome significa pace diventerà infine una vera dimora di pace.

Rav Jonathan Sacks

(18 ottobre 2015)