Israele – Rabin, vent’anni dopo
La strada di un grande leader
“Visto che non credo ci sia qualcuno che vincerà mai due volte il Premio Nobel, permettetemi di cogliere l’occasione e dare un tocco personale a questo riconoscimento prestigioso. Nell’età durante la quale la maggior parte dei giovani combatte per scoprire i segreti della matematica o i misteri della Bibbia, nel periodo in cui sbocciano i primi amori. Alla tenera età di sedici anni, io imbracciavo un fucile in modo da potermi difendere. Non era il mio sogno, volevo diventare ingegnere idraulico. Studiavo in una scuola agricola e pensavo che diventare ingegnere idraulico fosse un lavoro importante se vivevi in Medio Oriente e lo penso tutt’ora. Comunque fui obbligato a ricorrere alle armi”.
Cominciava rievocando il momento in cui tutto ebbe inizio, il discorso che Yitzhak Rabin, il Primo ministro d’Israele, pronunciò ricevendo il Premio Nobel assegnatogli nel 1994, assieme a Shimon Peres e Yasser Arafat, per l’impegno per la pace a seguito degli accordi di Oslo. Solo un anno dopo Rabin sarebbe stato ucciso da un fanatico israeliano, lo studente universitario Yigal Amir, durante una manifestazione per la pace. Solo un anno dopo niente sarebbe stato più lo stesso.
La figura di Yitzhak Rabin è tra le più complesse e affascinanti, dolorose e toccanti della storia dello Stato ebraico: un militare che non amava la guerra ma la faceva, invincibile eppure dedito alla ricerca della pace per il suo Paese, spaventato a morte dalla vista del sangue, rigido in pubblico e sul quale si raccontano scene inevitabilmente comiche (si vocifera per esempio che un giorno il presidente americano Carter gli chiese se avrebbe voluto ascoltare sua figlia suonare il piano e Rabin gli rispose seccamente un lapidario “no, non mi va”). Ci sono poi i ritratti che raccontano il dietro le quinte: nella sua biografia, Bill Clinton rivela come durante lo storico 13 settembre del 1993 nel quale furono firmati gli Accordi di Oslo gli chiese insistentemente di stringere la mano ad Arafat fino a che il Primo ministro israeliano acconsentì ma aggiunse bruscamente “Va bene. Va bene. Ma niente bacio”. “Il tradizionale saluto arabo era un bacio sulla guancia – scrive Clinton – ma lui non voleva assolutamente saperne”. Si collezionano infine i ricordi intimi, come quelli della sua adorata nipote Noale che nel libro Il dolore e la speranza condivide l’amore che la lega al nonno, quel nonno che come lei tendeva ad addormentarsi la notte senza alcuna fatica: “Perdonatemi se non parlerò di pace. È di mio nonno che voglio parlare” disse durante il suo funerale.
Nato il primo marzo del 1922, Yitzhak Rabin fu il primo premier israeliano ad essere effettivamente nato in Israele. Era quello che viene comunemente definito un sabra, un fico d’India spinoso all’esterno per difendersi e dolce all’interno. Suo papà Nechemia era ucraino e si trasferì nel futuro Stato ebraico nel 1917, sua madre, Rosa Cohen, figlia di un rabbino bielorusso, divenne una delle attiviste più ferventi e morì quando Yitzhak aveva solo 15 anni. Di lavoro faceva la contabile ma ogni volta nella quale esplodevano rivolte ai danni degli ebrei era in prima linea nell’organizzare gruppi di autodifesa. Conosciuta come Rosa la Rossa non voleva venissero fatte distinzioni di genere, il suo attivismo non era femminista ma trasversale. Studiando in una scuola agricola dove si distingue per la bravura, Rabin è costretto a conoscere ben presto le armi necessarie a difendersi durante i periodici attacchi arabi. Nel 1941, grazie all’amicizia con Yigal Allon (che diventerà Primo ministro ad interim dopo la morte improvvisa di Levi Eshkol) entrò nel Palmach, la sezione di combattimento dell’organizzazione paramilitare Haganah, esistente durante il mandato britannico. In quegli stessi anni Rabin si trovò per la prima volta faccia faccia con i sopravvissuti alla Shoah che, arrivati illegalmente in Palestina, vennero imprigionati dagli inglesi e liberati grazie all’azione sovversiva dell’Haganah. Durante le sue azioni militari venne arrestato ma continuò a combattere per la nascita d’Israele fino ad esser investito nel 1947 della carica di capo delle operazioni del Palmach. Una volta dichiarata l’indipendenza dello Stato d’Israele, divenne poi comandante della brigata Harel (nel frattempo l’Haganah si convertì nell’attuale esercito Tsahal) e si preparò per una difficile battaglia contro i paesi arabi entrati da subito in guerra con lo stato neonato. Perse molti uomini e tra un cessate il fuoco ed un altro sposò la sua fidanzata Leah Schlossberg.
“Sono stato un militare per decenni – ricordava Rabin – sotto la mia responsabilità c’erano giovani uomini e donne che volevano vivere, volevano amare e che invece morirono. Caddero per difendere le nostre vite. Se guardate Israele e il Medio Oriente da un aereo, la vista vi toglierà il fiato: vedrete mari profondamente blu, campi verdi, deserti, montagne e la campagna puntinata dai tetti rossi delle case. Ma anche cimiteri, tombe che i nostri occhi riescono a scorgere”.
Finita la Guerra d’Indipendenza, la carriera militare di Rabin è tutta in salita: divenne capo dello staff che guidava le operazioni e poi guidò la branca che si occupava dell’addestramento delle forze armate. Si concentrò prima nei territori del Nord, sorvegliando in seguito tutti i confini anche a Sud: da Siria ad Egitto, ma anche alla minaccia interna proveniente dai palestinesi di Fatah. Durante la sua carriera puntò ad investire soprattutto sul progresso tecnologico dell’Idf. Nel 1967 la Guerra dei Sei Giorni cambiò nuovamente le carte in tavola e dopo aver preso del tempo per pensare, Rabin ebbe un crollo nervoso. Nonostante la crisi riuscì a tornare al proprio posto di comando 24 ore dopo, facendo vincere Israele in maniera schiacciante e liberando Gerusalemme. La sua popolarità raggiunse il picco tanto che l’Università ebraica della capitale gli conferì il dottorato in Filosofia honoris causa. Vi chiederete come sia possibile che un esercito riceva un titolo di studio simile, disse Rabin in quella occasione: “La verità è che con questa laurea riconoscete all’esercito israeliano una particolare caratteristica che lo distingue dagli altri eserciti e lo rende caratteristico del popolo ebraico: il nostro primo obbiettivo è la sicurezza e lo scopo è arrivare alla pace. I nostri obbiettivi sono costruttivi, non distruttivi”.
Dopo una carriera militare durata quasi 30 anni, Yitzhak Rabin appese il berretto al chiodo e diventò ambasciatore d’Israele negli Stati Uniti. Nonostante la tradizionale affiliazione degli ebrei nei confronti dei democratici, si proclamò apertamente a favore del repubblicano Nixon, stringendo un legame fruttuoso (e non privo di scontri) con il futuro segretario di Stato Henry Kissinger e rafforzando incredibilmente i rapporti tra i due paesi. Ricordandolo Kissinger dirà che Rabin ha rappresentato per lui “un uomo nel quale convivevano la complessità tipica dell’ebraismo e di Israele e allo stesso tempo l’impegno nel cercare una soluzione pacifica”.
Tornato in Israele nel 1973, Rabin si unì ai laburisti e quando Golda Meir, a seguito delle pressioni post guerra del Kippur, fu invitata a dimettersi, venne eletto dal partito come suo successore diventando Primo ministro. Grazie alla mediazione di Kissinger, firmò uno storico accordo con l’Egitto che precederà la pace siglata da Begin e incontrò segretamente il re del Marocco. Fu sotto il suo mandato inoltre che avvenne l’Operazione Entebbe guidata dalle forze armate israeliane per liberare gli ostaggi di un volo dell’Air France dirottato dai terroristi palestinesi. Nel 1977, dopo la polemica suscitata dal conto aperto in una banca americana (illegale all’epoca) da sua moglie Leah, Rabin decise di dimettersi.
“Non posso essere più il candidato a primo ministro – spiegò – Non per la gravità dell’offesa. Ma perché ho commesso l’offesa stessa anche se solo tecnicamente. Devo agire secondo la mia linea di principi”.
Quando nel 1984 il Likud e i laburisti formarono un governo di unità nazionale, Rabin venne nominato ministro della Difesa dall’allora Primo ministro, e suo leggendario rivale, Shimon Peres. Durante questo periodo fece ritirare le truppe dell’esercito israeliano dal Libano e acconsentì ad uno scambio di oltre mille palestinesi in cambio della liberazione di tre soldati israeliani che gli causò ferocissime critiche. Lo scoppio dell’Intifada coincise con il sostanziale cambio di rotta della politica di Rabin: dopo aver visto che la repressione operata dall’esercito non riusciva a fermare la spirale di violenza e terrore, ritornò ad interrogarsi sulle cause e sulle possibili soluzioni, aprendo la via del negoziato. Con la caduta del governo, passato ora nelle mani di Yitzhak Shamir, Rabin si prepara a scendere di nuovo in campo candidandosi con lo slogan “Israel mechaca leRabin – Israel roza bitachon”, Israele aspetta Rabin, Israele vuole la sicurezza, con tanto di video e musica ad hoc.
Vinte le elezioni, riaprì immediatamente i negoziati con Arafat e la Siria e nel frattempo decise di espellere quasi 500 militanti di Hamas al fine di tutelare il Paese da nuovi attacchi. Il 13 settembre del 1993 coincise con la data storica nella storia del Medio Oriente: incontratisi alla Casa Bianca sotto il mandato del presidente Clinton, Rabin e Arafat si strinsero la mano, immortalata dall’iconica foto che chiunque avrà visto almeno una volta, e firmarono gli Accordi di Oslo nei quali i palestinesi riconoscevano Israele e Israele si impegnava a favorire la nascita di uno Stato palestinese, lasciando dei territori. Un passo che non fu esente da polemiche interne e da violente rivolte da parte delle fazioni israeliane più estreme così come da quelle palestinesi. Nonostante ciò il 28 settembre del 1995 i due leader si incontrano nuovamente a Washington per firmare l’accordo comunemente noto come Oslo 2. Il 12 di Cheshvan del 5756, il 4 novembre del 1995, alla fine di Shabbat, Yitzhak Rabin decise di partecipare alla grande manifestazione per la pace a Tel Aviv, nella ex piazza Malchei Israel ora Kikar Rabin, nonostante avesse sollevato alcune rimostranze iniziali. Cantò in pubblico Shir la Shalom, la canzone composta nel 1969 da Yakov Rotblit il cui testo invitava a rallegrarsi per la pace che un giorno sarebbe arrivata.
“Quello fu il giorno più felice della vita di Rabin – raccontò Shimon Peres – non lo avevo mai visto cantare e quel giorno cantò. Non lo avevo mai visto abbracciare e quel giorno mi abbracciò come un fratello”.
Mentre stava andando verso la sua macchina, Itzhak Rabin venne ferito da tre colpi di pistola. Il responsabile era Yigal Amir, uno studente israeliano 25enne di Herzelya che aveva provato ad assassinarlo in ben tre occasioni quello stesso anno: durante una visita allo Yad Vashem, all’albergo Nof Jerusalem e durante una cerimonia a Kfar Shmaryahu. Portato d’urgenza all’ospedale Ichilov, Rabin si spegnerà alle 23:14 a settantatré anni.
“Permettetemi di dire che sono commosso – queste le sue ultime parole durante la manifestazione – Mi piacerebbe ringraziare uno ad uno voi che siete qui oggi per prendere posizione contro la violenza e a favore della pace. Questo governo, che ho l’onore di guidare insieme al mio amico Shimon Peres, ha deciso di dare una possibilità alla pace. Una pace che risolverà la maggior parte dei problemi d’Israele. Sono stato un militare per 27 anni e ho combattuto tanto da non credere ci fosse possibilità per la pace e ora credo che questa possibilità ci sia. Dobbiamo farlo per la salvezza di chi è qui oggi e anche di chi non c’è. Sono qui per dimostrarvi che le persone desiderano veramente la pace e si oppongono alla violenza. La violenza distrugge le basi della democrazia d’Israele e va condannata e isolata. Questa manifestazione deve mandare un messaggio alla gente d’Israele, al popolo ebraico di tutto il mondo, agli arabi di tutto il mondo, al mondo intero. Israele vuole la pace, supporta la pace. E per questo vi ringrazio”.
Rachel Silvera twitter @rsilveramoked
(Nelle immagini, un ritratto di Yitzhak Rabin, il piccolo Yitzhak in braccio alla madre Rosa Cohen, con la moglie Leah, in uno scatto in cui indossa la divisa militare, sorridente accanto all’ex Presidente Usa Bill Clinton)
(4 novembre 2015)