Qui Roma – A vent’anni dall’assassinio
“Rabin, un soldato di pace”

IMG_20151112_210417“Un politico guarda alle prossime elezioni, uno statista guarda alle prossime generazioni”. In questa frase, attribuita ad Alcide De Gasperi, Eitan Haber rivede la sintesi dell’uomo con cui collaborò per circa quarant’anni: l’ex Primo ministro israeliano Yitzhak Rabin, di cui cade quest’anno il ventesimo anniversario dall’assassinio. “Quando ci fu bisogno, Rabin guidò il suo Paese verso una bella vittoria militare, se possiamo parlarne in questi termini vista la tragicità della guerra; poi dismise quegli abiti e si impegnò in qualcosa di ancor più difficile e in cui credeva, la pace. Divenne un soldato di pace”, ha ricordato Haber, ospite d’onore della serata organizzata dall’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane al Centro Pitigliani di Roma per celebrare la memoria di Rabin. Un esempio come politico e come uomo, ha ricordato in apertura il presidente dell’UCEI Renzo Gattegna che ha voluto sottolineare, alla luce dell’ondata di attacchi terroristici delle ultime settimane contro civili e soldati israeliani, la solidarietà e l’impegno dell’ebraismo italiano per Israele. Un paese, secondo Haber, diviso al suo interno e per cui il raggiungimento di una pace con i palestinesi sarà vitale per il futuro stesso dello Stato ebraico. E il suo punto di vista, ha spiegato dialogando con i giornalisti giornalisti Antonio Polito (Corriere della sera) e Anna Momigliano (Rivista Studio) nel corso della serata moderata dall’assessore UCEI Victor Magiar, non è quello di uomo di sinistra perché, nonostante la collaborazione con Rabin, le sue radici sono nel Likud ovvero nella destra israeliana.
“Non fui scelto dal Primo ministro per la mia provenienza politica ma per le mie competenze e per il rapporto che c’era tra di noi”, la spiegazione dell’ex portavoce, tornato al mondo dei giornali una volta rimasto orfano dell’amico, nonché suo capo, Rabin. “Un uomo che sapeva vedere lontano. Che già negli anni novanta iniziò a parlare del pericolo del nucleare iraniano, quando ancora nessuno vi prestava attenzione. La lungimiranza era una delle sue caratteristiche”. E in virtù di questa che cercò di acellerare e creare delle opportunità per fare la pace con i vicini arabi. “Rabin era consapevole della minaccia di essere un paese di otto milioni di ebrei in una regione con trecento milioni di arabi. Voleva trovare un accordo con i paesi confinanti per creare un cuscinetto di sicurezza”. Arrivò così l’accordo con la Giordania e “per pochi centimetri non riuscimmo a conseguire quello con la Siria”, saltato, ricordava Haber, proprio all’ultimo. Il fallimento dell’intesa con la Siria, dovuto tra le altre cose al no di Hafiz al-Assad, fece virare l’attenzione sull’altro fronte aperto, i palestinesi. E anche in questo caso Rabin dimostrò il suo coraggio politico, impegnandosi in un percorso accidentato come quello degli accordi di Oslo, siglati con il leader palestinese Yasser Arafat. Accordi spesso sotto attacco nel corso degli anni e di cui Haber ha rivendicato il valore, sottolineando però che un fallimento ci fu ma dal punto di vista della comunicazione. “Credo di dovermi prendere delle responsabilità su questo fronte ma molte sono le bugie che ancora sopravvivono su questo argomento. Molti ne parlano senza cognizione, nessuno ha letto le 70 pagine degli accordi. Ad esempio in pochi sanno che nel documento non c’è traccia delle parole Stato palestinese di cui parleranno solo i successori di Rabin”, ha spiegato Haber, ricordando che tra questi ultimi c’è anche l’attuale Premier israeliano Benjamin Netanyahu, tra coloro che contestarono duramente Oslo. E riguardo a quelle divisioni, il giornalista ha ammesso “non ci rendemmo conto di quanto fossero ampie, non capimmo i segnali, sottovalutammo i messaggi di morte che ci arrivarono”. Un clima esasperato – come ha ricordato Anna Momigliano – in cui, nelle manifestazioni di piazza degli oppositori all’accordo, comparvero immagini di Rabin vestito da nazista o con la kefiah palestinese, in cui lo si definì un traditore. E così la pensava anche Yigal Amir, il terrorista ebreo che il 4 novembre 1995 fece esplodere tre colpi di pistola contro il Nobel per la Pace israeliano, assassinandolo e gettando in uno stato di shock un’intera nazione.
Per Haber quelle divisioni sono ancora ben presenti nella società israeliana, tanto da affermare che le riflessioni sul clima d’odio contro Rabin, generato dalle frange più estremiste della destra d’Israele e le responsabilità politiche ad esso connesse, continuano a rimanere un tabù.
Oltre le divisioni però, la riflessione dell’ex portavoce, per il futuro di Israele in Medio Oriente l’unica soluzione è la nascita di uno Stato palestinese. “Se non ci prepariamo alla sua realizzazione, dovrò incominciare a prendere lezioni di nuoto”, la tagliente battuta di Haber. “E io non ho nessuna voglia di farlo”.

Daniel Reichel

(13 novembre 2015)