Israele – la decisione della corte suprema
“Volontà e libertà individuali
sono principi inviolabili”
“Questa decisione rispetta le volontà della defunta, che includono il diritto sul proprio corpo sancito dalla Legge fondamentale (d’Israele) sulla Dignità umana e la libertà. May Peleg aveva espresso il desiderio categorico, forte, coerente e inequivocabile che il suo corpo fosse cremato dopo la morte”. Sono le parole con cui Anat Baron, giudice della Corte Suprema d’Israele, ha messo fine alla dolorosa vicenda processuale legata a May Peleg, attivista transgender per i diritti lgbt che, prima di togliersi la vita, aveva disposto la propria cremazione. Una scelta libera e consapevole, afferma la Corte, contro cui la madre di Peleg, proveniente dagli ambienti dell’ultraortodossia israeliana, ha cercato per vie legali di imporre la propria volontà, ovvero la sepoltura secondo le regole della tradizione ebraica (nell’ebraismo la cremazione del corpo è proibita) e usando il nome al maschile della figlia, quello che lei le aveva dato alla nascita. “Quando non contrasta con la legge, dobbiamo rispettare il volere del defunto, che viene prima di quello della famiglia” la risposta della Corte Suprema, che nelle scorse ore ha confermato la decisione presa da una Corte distrettuale di procedere con la cremazione. Si tratta di un riaffermazione chiara dell’inviolabilità dei diritti individuali e dei principi di laicità dello Stato, affermano i movimenti per i diritti umani, che assume un significato ancor più importante poiché arriva dall’istituzione preposta a garantire quegli stessi diritti. “Ci è voluta la Corte Suprema per risolvere una disputa che opponeva le richieste dell’ebraismo ortodosso, da cui Peleg proveniva, all’affermazione dei diritti della persona e l’autonomia assunte da Peleg in età adulta e da israeliana laica”, il commento della giornalista Naomi Zeveloff sul Forward.
La storia di May ha avuto molta risonanza sui media nazionali israeliani. Cresciuta in una comunità ultraortodossa di Gerusalemme, durante l’infanzia, prima del cambio di sesso, Peleg era stata vittima di abusi e violenza. Le difficoltà, come raccontava lei stessa in un video del 2013 girato per il gay pride di Gerusalemme, sembravano più o meno superate con il matrimonio e con la nascita di due figli. Poi la decisione di cambiare sesso e iniziare una vita nuova. A stupirla, come ricorderà sempre nel video, la reazione positiva e senza pregiudizi dei suoi figli. Mentre con la madre i rapporti si ruppero del tutto, come conferma quanto scritto al suo avvocato prima di morire: “visto che non ho più contatto con la mia famiglia biologica e poiché temo che dopo la mia morte ci sarà chi cercherà, usando diversi argomenti, di ostacolare la mia ultima decisione di essere cremata, le chiedo di rappresentarmi in tribunale e di essere la mia voce”. A cercare di ostacolare la volontà di May, è stata effettivamente la madre che si è affidata alla legge ebraica per invocare in tribunale la cancellazione della decisione della figlia: davanti alla Corte Suprema, il suo avvocato ha sostenuto che il desiderio di May non fosse ben fondato (non sarebbe stata lucida al momento della decisione), in particolare se raffrontato alla volontà della madre di avere una tomba per il proprio figlio (come rilevano i giornali israeliani, l’avvocato e le istanze presentate dalla madre parlano di May sempre al maschile) e l’importanza per i figli di potervisi recare. Una tesi rigettata dalla Corte. E chiare nel merito le parole del giudice Baron, con la riaffermazione del rispetto delle disposizioni lasciate da Peleg: “La maggior parti delle ceneri della defunta saranno sparse in mare mentre una parte sarà sepolta sotto all’albero che sarà piantato in sua memoria a Gerusalemme. A questo proposito, May Peleg ha scelto con grande sensibilità un posto dove chiunque voglia ricordarla possa recarsi, in particolare i suoi figli. Non siamo qui per giudicare la volontà e le strade scelte da Peleg, – ha ribadito ai presenti, e non solo, il giudice della Suprema Corte – ma solo per onorarle. Sia la sua memoria di benedizione”. Dopo lo sdegno per la scelta di opporsi a quanto deciso da Peleg, soddisfazione è stata espressa dal movimento che si è creato attorno a chi ha difeso la sua scelta. “Questa decisione da parte della corte è un importante riconoscimento delle libertà individuali delle persone e del rispetto delle loro volontà, anche dopo la morte, – hanno commentato i membri di quella che è diventata una vera e propria campagna civile – si tratta di un passo fondamentale per l’intera comunità, e per quella transgender più in particolare”.
Daniel Reichel
(25 novembre 2015)