IHRA
Memoria per il futuro

24951334391_20ee8de602_z“Non ha senso fare ricerca senza lavorare sulla formazione e soprattutto sull’educazione, è ben chiaro a tutti noi, ed è proprio per questo che abbiamo voluto aprire l’anno di presidenza svizzera dell’International Holocaust Remembrance Alliance con la presentazione dei risultati dell’Education Research Project dell’IHRA”. Con queste parole Monique Eckmann, professore onorario della Haute ècole de travail social di Ginevra, specializzata in trasmissione della storia e della memoria della Shoah e responsabile del progetto ha aperto i lavori di una conferenza internazionale che raccoglie studiosi da tutto il mondo, riunitisi nella sede della Padagogische Hochschule di Lucerna, il centro di pedagogia e didattica che si occupa della formazione degli insegnanti, che organizza la due giorni insieme all’IHRA, e con il sostegno del Dipartimento Federale degli Affari Esteri della Confederazione Svizzera.
L’Education Research Project, i cui risultati sono stati presentati sinteticamente in apertura e analizzati a fondo nelle due giornate di lavori, si propone di fornire una mappatura delle conoscenze e dei risultati della ricerca sull’insegnamento e sull’apprendimento sulla Shoah. La grande ricerca empirica sull’attuale stato della formazione sulla Shoah punta a portare il campo di studi al di là dei testi programmatici e dell’aneddotica, per identificare le sfide e le opportunità reali di un ambito tanto complesso quanto importante. La presentazione dei risultati, raccolti da un team multilingue, è stata soprattutto una grandissima occasione per gli studiosi convenuti da tutto il mondo per confrontarsi e scambiare conoscenze e informazioni. La necessità di procedere alla revisione critica di un numero selezionato di studi condotti nel campo della formazione sulla Shoah, la dimensione internazionale, e il trasferimento di conoscenze portano a sviluppare un linguaggio trasversale, fondamentale nell iniziative cross-culturali.
Educatori, ricercatori, docenti universitari, esperti di formazione, decisori di politiche educative, rappresentanti di organizzazioni non governative, diplomatici, si sono ritrovati per le sessioni plenarie, per quelle tematiche e si sono poi divisi in gruppi di lavoro. Temi molteplici, dalle implicazioni dei risultati della ricerca sulla politiche dei singoli governi, a come adeguare la pratica educativa all’attualità o come progettare ulteriori ricerche, tutto contribuisce alla costruzione di una base comune, fondamenta solide per progetti futuri.
Senza dimenticare l’utilità delle pause nella grande e luminosa caffetteria della Pedagogische Hochschule, dove ritrovarsi per discutere di quanto fatto, per confrontare ricerche e pareri e trasformare il grande palazzo che ospita la più importante istituzione universitaria dedicata alla formazione degli insegnanti della Confederazione Svizzera nel centro mondiale della ricerca sull’educazione sulla Shoah. Sfide e obiettivi, tendenze nazionali e trend tematici, didattica, studi comparativi e tavole rotonde portano le decine di studiosi a impegnarsi su più fronti, con le sessioni che, svolgendosi contemporaneamente, obbligando più d’uno a dover scegliere fra gruppi di lavoro parimenti interessanti.
Alla fine della prima giornata dei lavori a riunire tutti per una sessione plenaria è stato il keynote dell’americana Simone Schweber, Goodman Professor of Education and Jewish Studies alla Wisconsin University. Un’ora intensa dedicata ai risultati di una ricerca qualitativa volta ad analizzare le modalità di studio e approfondimento dei temi connessi con la Shoah nelle classi, che ha portato a sintetizzare tre proposizioni fondamentali, a partire dalla necessità di discutere come la definizione curricolare dell’argomento, a livello nazionale, influenzi in maniera notevole le modalità narrative dell’insegnamento. È fondamentale, ha evidenziato Schweber, che siano portati a galla i set di valori che i singoli studenti rapportano allo studio della Shoah, sia per permettere la discussione in classe che per poter affrontare eventuali difficoltà, più frequenti in contesti in cui all’argomento potrebbero essere attribuiti significati del tutto scollegati dall’insegnamento e dagli approfondimenti proposti in ambito scolastico. E non va mai dimenticato che il lavoro intellettuale – come anche quello emotivo e valoriale – deve essere portato avanti principalmente dagli studenti, con i docenti che hanno il compito di strutturare i percorsi, accompagnarli e guidarli, ma non di sostituirsi ai propri allievi. Altro dato rilevante evidenziato dalla ricerca empirica, oltre al rischio di fraintendimenti anche grandi sul senso e sul significato dell’insegnamento di argomenti tanto complessi, è la strumentalizzazione politica, molto frequente negli Stati Uniti, ma da cui anche l’Europa non è certo esente. La strumentalizzazione, più o meno volontaria e consapevole, avviene anche in contesti in cui la narrativa dominante porta a una interpretazione fuorviante, pur se non direttamente condizionata dagli strumenti usati in classe né dalle convinzioni dell’insegnante. Il rischio, poi, che la Shoah diventi un argomento totalmente escluso nei contesti svantaggiati in cui i docenti portano avanti solo le materie fondamentali rende gli Holocaust Studies una sorta di cartina di tornasole dello stato dell’insegnamento tout court. E le scuole dovrebbero essere il luogo in cui si può discutere di valori e significati, e in cui gli studenti imparano anche ad affrontare discussioni su argomenti difficili che hanno un impatto emotivo forte senza che questo debba necessariamente essere motivo di conflitto. Soprattutto su argomenti come la Shoah, il cui senso va molto oltre alla lezione di storia. Sempre che i docenti oltre a essere preparati e sensibili siano messi in condizione di lavorare serenamente, cosa che pare sempre più difficile.
Ma si è discusso veramenti di tutto, a partire dalla terminologia, non usata in maniera univoca, per arrivare alle ultime ricerche sul tema, molte delle quali ancora in corso e di cui i responsabili hanno voluto dare una prima idea, anche per aprire il dibattito e la discussione. E da questo punto di vista il successo dell’iniziativa è stato totale: il confronto è stato aperto e franco, ci sono stati confronti appassionati che hanno coinvolto molti, davvero in ogni momento. Dopo i keynote di Barbara Kirshenblatt-Gimblett, intitolato “Difficult Pasts and Conflicted Histories: Museums as Sites of Experiential Learning” in cui ha raccontato la sua esperienza di curatrice responsabile di Polin, il museo di Varsavia dedicato alla storia degli ebrei polacchi, e di Michalinos Zembylas, su “Conflicting narratives, education and emotions relating to traumatic experiences”, la seconda giornata è stata dedicata agli approfondimenti tematici, con i partecipanti divisi in quattro gruppi di ricerca. Dalle metodologie didattiche agli studi transnazionali comparati, dalle classi multiculturali che pongono il problema di gestire narrative differenti, alla valutazione delle competenze e degli atteggiamenti degli studenti, in ogni gruppo composto da ricercatori di diversi paesi la discussione è stata vivace, e produttiva. Altre due sessioni plenarie, dedicate allo stato attuale delle ricerche sul tema e alle prospettive future, hanno poi lasciato spazio in chiusura alla “Networking Post-conference” dedicata a ulteriori conclusioni e alle prospettive concrete e operative. Con una sessione aperta a chiunque volesse contribuire dedicata alla presentazione di nuovi progetti e reti di collaborazione chiusasi con la conferma, parziale consolazione per chi non ha potuto seguire i lavori, che l’IHRA intende pubblicare gli atti della conferenza entro il prossimo anno.
E il panel finale, composto da coloro che prendono le decisioni, ha discusso i risultati della ricerca in chiave operativa, per formulare raccomandazioni concrete. Perché lavorare sulla Memoria, è stato ripetuto più volte già nelle prime ore della conferenza, è progettare un futuro migliore.

Ada Treves twitter @atrevesmoked

(19 febbraio 2016)