opinioni a confronto – Nessuna obiezione sostenibile
Paolo De Benedetti, ebraista insigne (e, a scorno di Karol, anche cattolico militante), mi invia un appello della Biblia, Associazione laica di cultura biblica: l’appello chiede che venga istituito nelle scuole un programma “aconfessionale” di cultura biblica. Naturalmente sottoscrivo. Come ho già scritto in una o due Bustine, qualche anno fa, che uno creda o no, le religioni (tutte) hanno svolto e svolgono un ruolo fondamentale nella storia dei popoli e molti eventi sono incomprensibili se non si conoscono le credenze religiose che li hanno ispirati. Non si vede dunque perché la scuola debba insegnare la storia della filosofia e quella della letteratura e non la storia delle religioni. All’istituzione di un insegnamento di storia delle religioni non c’è nessuna obiezione sostenibile. Difficoltà di formare gli insegnanti? Varie università hanno un corso di storia delle religioni e, visto che le leggi consentono di insegnare geografia a chi abbia dato un solo esame di questa materia, non vedo come si possa negare di insegnare storia delle religioni a chi abbia sostenuto uno o due esami in questa disciplina, con un contorno di studi filosofici e una tesi in argomento. In quattro anni si possono formare tutti i laureati che vorranno seguire questo curriculum. Paventata faziosità dell’insegnante? A termini di legge, oggi un marxista può spiegare san Tommaso e un cattolico Marx. Per la storia comparata delle religioni si può costituire una commissione che garantisca la non faziosità dei libri di testo. E insomma: c’è gente che è diventata credente con un insegnante di filosofia ateo, e gente che ha perduto la fede con un insegnante di filosofia di Cl. L’importante è sollecitare l’attenzione al problema, poi chi vivrà vedrà. Se un insegnamento di storia comparata delle religioni è un’utopia, più ragionevole sembra la richiesta di Biblia. Se fossimo a Samarcanda sarebbe più urgente richiedere lo studio del Corano, ma viviamo in un paese occidentale dove non c’è aspetto della nostra cultura (compreso il marxismo) che non sia stato influenzato dalla cultura espressa dalla Bibbia (e si noti che, fra l’altro, la Bibbia comprende sia l’Antico che il Nuovo Testamento). Perché i ragazzi debbono sapere tutto degli dei di Omero e pochissimo di Mosè? Perchè debbono conoscere la “Divina Commedia” e non il “Cantico dei Cantici (anche perché senza Salomone non si capisce Dante)? A umiliazione del manzonianismo degli stenterelli sta per uscire da Bompiani un libro (“Leggere Manzoni”, a cura di Giovanni Manetti), nato da una serie di lezioni da me organizzate all’università di Bologna in cui il fior fiore dell’italianistica e della semiotica ha riletto per un anno, con passione e originalità, spero, un autore che ritengo fondamentale per ogni persona “pensante” (segnalo l’allitterazione a Luciano Satta). Ma come capire Manzoni senza conoscere la cultura vetero e neo-testamentaria di cui era nutrito? Un insegnamento di studi biblici sembra più difficile da preparare che un insegnamento (fatalmente nozionistico) di storia comparata delle religioni. Ma se un professore di filosofia che si è laureato su Rosmini è tenuto a raccontare in modo decente ai suoi allievi che cosa abbia detto Parmenide, non vedo perché non possa essere tenuto, previa qualche lettura integrativa, a dire qualcosa sul profetismo giudaico. Capisco il rischio dell’approssimazione, ma ogni insegnante di filosofia che racconti ai suoi allievi che per Parmenide e Zenone nulla si muoveva, dice lo stesso una castroneria. Parmenide non era così idiota da non sapere che per andare da Elea a Crotone bisognava scarpinare un sacco. Quindi meglio sapere che Ge- remia era un tizio un poco lamentoso, che non saperne nulla. Inoltre, quando si presenta l’obiezione che l’università non è pronta a produrre insegnanti in una certa materia, si ignora che, tempo fa, certe cose, se non le diceva l’università non si potevano sapere, mentre oggi l’editoria mette a disposizione di tutti, compresi i professori di università, manuali e sillogi che, se non sono perfetti, almeno sono informativamente attendibili. E il problema non è di spiegare le cose come avrebbero saputo fare Sholem o De Lubac, ma almeno di segnalare ai giovani che esistono correnti di pensiero che non si possono ignorare.
Umberto Eco, “La bustina di Minerva”, L’Espresso 10 settembre 1989
(26 febbraio 2016)