Yerushalaim…

Quarantanove anni fa, dopo un’ennesima notte di angoscia in cui Radio Cairo continuava a minacciare un’altra Shoah, invitando tutto il popolo arabo a “gettare tutti gli ebrei nel mare…”, Gerusalemme tornava interamente in mano ebraica dopo quasi 1900 anni. Chissà se, in quel 28 di Yiar 5727, il generale dell’esercito di Israele Motta Gur si rendeva conto del significato simbolico e delle ripercussioni che avrebbe avuto nelle coscienze il suo clamoroso annuncio “Har Habayt beiadenu”, “il Monte del Tempio è nelle nostre mani…”.
Sapeva Motta Gur con i suoi soldati che in quel luogo è stato creato il promo uomo? Che Abramo è arrivato là per realizzare con suo figlio Isacco l’atto di fede più estremo? Che Salomone in quel luogo ha edificato quel Tempio tanto voluto da suo padre David? Che fu un ebreo convertito all’Islam che, in modo proditorio, suggerì al Califfo Omar di costruire la Moschea sul luogo più sacro al popolo ebraico? Oggi festeggiare la riunificazione di Gerusalemme richiama alla nostra mente il verso del Salmo 122: “…Yerushalaim è edificata come una città che è stata unita insieme…”, come fosse una città costruita, anche in tempi diversi, in modo uniforme e armonico. Se per i mistici questo passo si riferisce al collegamento tra la Gerusalemme terrestre a quella celeste, per il Talmùd significa che Yerushalaim (lett. città della compiutezza, della pace) è un luogo aggregante e che rende tutti amici. È significativo che il 28 di Iyar sia anche il giorno in cui, secondo una tradizione, è stato perpetrato l’attacco proditorio di Amalèk al neonato popolo ebraico all’indomani della sua uscita dall’Egitto. Un giorno, nella numerazione ebraica 28 è indicato con la parola כח che significa forza, in cui contrapponiamo alla disgregazione rappresentata da Amalèk, l’aspirazione alla compiutezza e all’armonia rappresentate da Yerushalaim.

Roberto Della Rocca, rabbino

(7 giugno 2016)