Bambi Sheleg (1958-2016)
““Moglie di spirito e di azione, instancabilmente nel promuovere il dialogo e la cooperazione tra i vari gruppi nella società israeliana. La sua morte prematura è una perdita dolorosa per tutti noi. Le sue parole saranno il nostro principio guida. Che la sua memoria sia di benedizione”, con queste parole il presidente d’Israele Reuven Rivlin ha dato il suo ultimo saluto a Bambi Sheleg, giornalista israeliana impegnata nel far dialogare le varie anime del paese attraverso i suoi scritti e al progetto editoriale Eretz Acheret (Israele diversa). Sheleg, malata da tempo di cancro, è scomparsa ieri all’età di 58 anni. Pagine Ebraiche l’aveva intervistata per capire il perché dell’esigenza di creare una piattaforma pensata come uno spazio per lo scambio di idee e il confronto tra le diverse realtà, in particolare le varie sfumature interne ai religiosi e ai laici, interne a Israele.
Uno sguardo “diverso”
“Eretz Acheret”, un’Israele diversa. Tirate pure un sospiro di sollievo, non è l’ennesimo partito israeliano né lo slogan del politico di turno. No, è il nome di un progetto, di un’avventura, di una speranza nata circa dieci anni fa dall’impegno inesauribile di una donna, la giornalista Bambi Sheleg. “Eretz Acheret” è il suo giornale, il risultato di una necessità: dare respiro alle opinioni, alle idee, alle convinzioni latenti nella società israeliana; creare uno spazio di confronto intellettuale in cui crescere. “Eretz Acheret seguirà quegli israeliani che desidereranno ampliare la propria identità, i propri orizzonti; coloro che saranno disponibili ad ascoltare voci diverse dalla loro” scrive la Sheleg nell’editoriale del primo numero del giornale (ottobre-novembre 2000). Raggiunta al telefono, la giornalista ci spiega “l’assassinio di Rabin è stato per me un evento traumatico che mi ha portato a riflettere sulla realtà che mi circondava. In Israele i giornali erano appiattiti sulle proprie posizione, non davano spazio ad una discussione e cercavano di manipolare l’opinione pubblica”. Settorialismo e poco interesse per il pubblico sono dunque i problemi che affliggono l’informazione israeliana. Non bisogna però fermarsi ai giornali; attraverso uno sguardo più ampio sulla società israeliana, la Sheleg sottolinea come vi sia una diffusa mancanza di comunicazione. Manca una lingua comune per discutere le questioni più intime, per confrontarsi sia sui problemi quotidiani quanto su quelli più profondi, come la questione identitaria. La direttrice di “Eretz Acheret” vede il proprio paese diviso, muri di silenzio si frappongono fra i vari ambienti e ceti israeliani anche se ciascuno di essi è consapevole che senza l’altro non potrà arrivare al proprio traguardo.
Ecco dunque da dove nasce l’idea di creare un bimestrale ed un sito (www.acheret.co.il) che diano spazio al confronto. “La rivista riguarda la ricerca di identità della società israeliana e del popolo ebraico”, sostiene la direttrice “Chi siamo? Che cosa stiamo facendo qui? Noi cerchiamo di aprirci a tutte le interpretazioni che possiamo ottenere e che crediamo valga la pena ascoltare. Riteniamo che la discussione portata avanti dai mezzi di comunicazione non sia abbastanza profonda, troppo stereotipata e politicamente influenzata” Una sorta di piattaforma ideale su cui lasciare la propria testimonianza.
Il successo del primo numero supera le più rosee aspettative e il giornale si afferma progressivamente come una delle voci culturali più ascoltate e seguite del panorama israeliano. “Quand’è che ti rendi conto che una rivista è importante? Quando capisci che ciò che stai leggendo non l’avresti trovato da nessun’altra parte” ha detto Kobi Arieli, opinionista di Maariv, riferendosi alla rivista delle Sheleg.
I temi trattati vanno dalla religione alla cultura, dall’educazione all’economia. Si parla di Bialik, di Aaron Appelfeld come della crisi internazionale e del ruolo del sionismo nella modernità. In uno dei numeri, ad esempio, troviamo un editoriale al vetriolo della Sheleg, un J’accuse nei confronti dell’élite politica israeliana, rea di disinteressarsi del bene comune per dedicarsi solo ai propri interessi. La classe dirigente, si legge nell’articolo, ha la pretesa di considerarsi superiore al resto della società, superiorità che sarebbe insita nell’appartenenza al ceto che sta al potere, una sorta di nobiltà del ventunesimo secolo.
Il tentativo di allargare gli orizzonti si spinge fino all’Europa. Infatti la creazione di una versione inglese del sito è giustificato dalla ricerca di allargare il confronto anche fuori dal confine israeliano. Una necessità che Bambi Sheleg percepisce come assolutamente primaria: “abbiamo bisogno di questo webmagazine –si legge nel sito – perché il divario concettuale tra ebrei israeliani e europei crea un crescente senso di alienazione, producendo una sensazione di estraneità fra le diverse parti del popolo ebraico, che potrebbe disfare il nostro tessuto nazionale, la mancanza di un pensiero organizzato e nazionale indebolisce notevolmente il popolo ebraico in Israele e in Europa, e mina la sua capacità di resistere agli attacchi e alle crisi dall’interno e dall’esterno. La creazione di una piattaforma condivisa che si concentri sulle questioni cruciali è un interesse supremo israeliano ed ebraico”.
Forse in queste parole aleggia un po’ di fatalismo ma la volontà di creare un ponte culturale, di confronto e condivisione fra Europa e Israele è certamente lodevole quanto arduo. “Eretz Acheret” ci prova e il nome è ben augurante.
Daniel Reichel