“Assieme a Rabin e Ben Gurion,
Shimon è tra i grandi della Terra”

peres-ben-gurion-dayanSi sono incontrati molte volte. Di fronte sempre lo stesso uomo ma con incarichi diversi: ministro della Difesa, delle Finanze, degli Esteri, Primo ministro, Presidente d’Israele. “Per un giornalista come me, anche volendo, sarebbe stato impossibile non entrare in contatto con Shimon Peres. Con lui ho coltivato negli anni un rapporto speciale ma i ricordi personali li tengo per me”. A parlare è Nahum Barnea, decano del giornalismo israeliano, che a Pagine Ebraiche offre una sua valutazione del ruolo del grande statista israeliano scomparso nella notte. Per Barnea, “Peres è riuscito con il tempo, nel corso di una lunga carriere, a entrare a far parte dell’élite politica mondiale. In pochissimi possono iscriversi a questo club speciale, direi che ne fanno parte solo una trentina di persone. E lui, assieme a David Ben Gurion e Yitzhak Rabin, è una delle tre figure israeliane ad esserci riuscite”. E questo nonostante in patria a lungo non sia stato così popolare. “Il suo difetto continua il giornalista – è sempre stato questo desiderio di piacere alla gente e al contempo essere un leader ma le due cose non vanno di pari passo”. “Ricordiamo bene quando accadde nel 1992 quando a Tel Aviv chiese pubblicamente al suo partito se fosse un perdente, e l’ala legata a Yitzhak Rabin, con cui si scontrò a lungo, gli rispose ‘sì, sei un perdente’. È chiaro – prosegue Barnea – che un uomo rimasto ai vertici della politica israeliana per 70 anni non è un perdente”.
La firma di Yedioth Ahronot, il più popolare giornale israeliano, spiega poi che la carriera di Peres può essere divisa in due segmenti che non sono in contraddizione fra loro: “nel primo è stato l’uomo al servizio della sicurezza del Paese: in questo quadro si inserisce il suo impegno per l’accordo con la Francia per rifornire il neonato Stato di Israele con armi così come la costruzione negli anni ’50 e ’60 del centro nucleare di Dimona”. Il secondo, quello “culminato con i negoziati di pace degli anni Novanta”, che permisero a Israele “di consolidarsi a livello internazionale”. Secondo Barnea i due spaccati della vita dello statista convergono nell’impegno per garantire la sicurezza di Israele: “Peres non è e non è mai stato Gandhi. Il suo è sempre stato un approccio pragmatico alla pace. Pensava che un’intesa con i palestinesi e con Arafat potesse essere una garanzia per Israele. Solo dopo si è aggiunto quel manto di romanticismo”.
Parlando delle sue posizioni politiche Barnea spiega come il leader laburista a lungo sia stato “un falco all’interno del suo partito”. Più vicino alla destra. E con un certo sostegno all’inizio anche tra chi viveva nei primi insediamenti. “Il suo essere di sinistra non è come lo intendete voi in Italia, non è ideologico”, sostiene Barnea, secondo cui la linea tra le due fazioni politiche è tracciata proprio dalla differenza di visione sugli insediamenti. E quella di Peres è cambiata con il tempo, proprio – prosegue il giornalista – in virtù del suo pragmatismo. “D’altra parte è vero quanto si dice su di lui: era un politico per cui l’unico limite era il cielo. Aveva una convinzione e la perseguiva”. Ed è questo, conclude Barnea, ad averlo fatto un uomo della Storia.

d.r.

(28 settembre 2016)