Il crowdfunding per aiutare la Siria

“Siamo qui. Nel giardino accanto. I vicini di casa di un orrore su cui aprire gli occhi. Ora è il nostro turno di agire, di fare, di cambiare”. E ancora, “insieme possiamo essere dalla parte giusta della storia”. Sono alcuni degli appelli lanciati dall’associazione umanitaria Israeli Flying Aid (IFA) che ha avviato una campagna di raccolta fondi sulla piattaforma di crowdfunding mimoona a favore dei vicini siriani. L’organizzazione israeliana è infatti impegnata ad aiutare la popolazione che al di là del confine oramai dal 2011 è coinvolta in una dei conflitti più sanguinosi della storia recente. “Portiamo beni alimentari e di prima necessità, medicine, attrezzature per l’inverno” spiegano dall’organizzazione, abituata ad agire in quelle zone di conflitto dove i regimi non permetto alle organizzazioni umanitarie di operare. Gi appelli dell’associazione israeliana non sono rimasti inascoltati: al momento sono oltre 5800 le persone che hanno donato sul mimoona, toccando la cifra di un milione di shekel, oltre 250mila euro. “25 shekel servono per il biberon di quel bimbo che ha appena festeggiato il suo primo compleanno, 100 shekel sono per il cappotto del bambino che non vedrà più il quartiere dove è cresciuto; 200 shekel per cinque coperte termiche per quelle ragazze il cui primo ricordo sarà questa devastazione”. Queste alcune delle forniture portate in Siria dall’Ifa, a cui coloro che hanno donato hanno lasciato decine di messaggi di ringraziamento: “Complimenti! Grazie per avermi dato l’opportunità, anche se piccola di aiutare. Facciamo emergere la luce, liberiamoci del buio dell’odio e della violenza” scrive Aleksandra Polinsky. “Grazie a chi organizzato tutto questo per darci la possibilità di dare una mano ai rifugiati”, le parole invece della famiglia Tzor. L’Israel Flying Aid, guidata da Gal Lusky, è impegnata sin dall’inizio del conflitto siriano a portare aiuti al di là del confine nonostante i siriani siano ufficialmente nemici di Israele. Su queste pagine si era già raccontato come, nonostante sessant’anni di ostilità (il regime di Assad tra le altre cose finanzia i terroristi di Hezbollah, che hanno tra gli obiettivi la distruzione dello Stato ebraico), gli israeliani abbiano prestato aiuto ai vicini, in particolare trasportando clandestinamente in alcuni ospedali del nord del Paese civili feriti. Tra queste iniziative, nelle ultime settimane è diventato famosa grazie a un video virale il progetto Amaliah: grazie alla tenacia di un uomo, Moti Kahana, il governo di Gerusalemme ha permesso che un autobus israeliano iniziasse a fare la spola per portare feriti siriani in cliniche del Golan (nord del Paese). “Si tratta di visite su base giornaliera. Ci prendiamo cura di loro e poi, purtroppo, li rimandiamo indietro”, spiega Kahana nel video, che ha iniziato questo progetto usando tutti i suoi risparmi. Quando i soldi sono finiti, ha fondato l’ong Amaliah per poter raccogliere nuovi fondi. “Se non ci prendiamo cura oggi noi di loro, non aspettiamoci che un giorno, nel caso in cui accada a noi, qualcuno si prenderà cura di noi”, prosegue Kahana, che viene contattato da chi ha bisogno attraverso i social network, Facebook, What’s app, Viber e così via. “Alcuni dei siriani mi hanno chiesto: ‘Chi è il mio nemico? E chi è mio amico?’ Il mio governo che mi sta uccidendo? O i miei vicini che mi stanno salvando?’”.E a fine dicembre – mentre le immagini di una Aleppo rasa al suolo facevano il giro del mondo – il Primo ministro Benjamin Netanyahu ha aperto uno spiraglio sulla possibilità di accogliere rifugiati siriani. “Ciò che vogliamo fare è questo: portarli in Israele, prendercene cura nei nostri ospedali come abbiamo già fatto con migliaia di civili siriani. Stiamo valutando alcune strade per continuare a farlo”, ha dichiarato Netanyahu e tra queste ci sarebbe anche l’opzione di riconoscerne alcuni come rifugiati. Riconoscimento che il governo israeliano in questi anni difficilmente ha fatto in altri casi problematici. Ma la domanda posta da Kahana forse potrà essere una leva efficace per cambiare le cose in futuro.

Daniel Reichel, Pagine Ebraiche Gennaio 2017