I haredim, l’esercito e la frattura da ricomporre

Schermata 2017-10-22 alle 17.30.09Due video girati a Gerusalemme sono circolati molto in questa settimana. Entrambi legati alle proteste del mondo haredi (i cosiddetti ultraortodossi) contro l’obbligo di leva per gli studenti delle yeshivot (scuole religiose). Un tema sempre caldo in Israele, tornato attuale in agosto dopo che la Corte Suprema ha dichiarato l’incostituzionalità dell’accordo governativo che consente l’esenzione dall’esercito per la maggior parte dei haredim. Due di loro sono stati arrestati in settimana per non aver risposto alla cartolina di richiamo dell’esercito. E così migliaia di ultraortodossi sono scesi in piazza in loro sostegno e per protestare nuovamente contro la coscrizione obbligatoria. La tensione è salita e i due video citati ne danno una parziale rappresentazione: in uno, si vede un poliziotto israeliano estrarre la pistole e puntarla contro i dimostranti, dopo essersi trovato le cuore di una delle manifestazioni. La polizia israeliana, a riguardo, ha dichiarato che un’indagine preliminare ha indicato che “l’ufficiale si è trovato all’interno di un gruppo di manifestanti violenti che lo hanno circondato e hanno lanciato pietre e oggetti contro la sua auto di pattuglia, bloccando il suo percorso, mentre continuavano ad avvicinarsi in modo minaccioso, insultandolo e scuotendo l’auto di pattuglia. Ad un certo punto, l’ufficiale si è sentito minacciato e ha cercato di farli allontanare. In ogni caso l’ufficiale è stato convocato per chiarimenti”. Nell’altro video, girato anche sui social network italiani, si vede invece una soldatessa israeliana fuori servizio affrontare da sola una folla di manifestanti haredi: Nomi Golan, la soldatessa, stava tentando di far passare un’auto attraverso il gruppo di dimostranti che stavano bloccando la strada per protesta. Il video mostra Golan respingere, usando tecniche di arti marziali, il gruppo di uomini intorno a lei che la insultano e minacciano.
I due video, molto discussi, raccontano di un problema insoluto della società israeliana: quello dell’integrazione dei haredim e in particolare della loro partecipazione alla difesa dello Stato. “La storia di questa controversia sociale riflette la storia dello Stato d’Israele”, ha scritto la presidente della Corte Miriam Naor nelle 148 pagine della citata sentenza sulla leva obbligatoria. Si tratta infatti di un dibattito che da decenni divide l’opinione pubblica israeliana: il primo a garantire l’esonero dall’esercito al mondo haredi fu il Primo ministro David Ben Gurion nel 1949. Allora a usufruirne furono in 400, oggi parliamo di 62mila persone che “non servono il Paese mentre i nostri figli muoiono per difenderli”, come recita una delle affermazioni più diffuse tra chi contesta l’esenzione. Nel settore ultra-ortodosso, una delle risposte a questa contestazione è che “anche lo studio della Torah aiuta a difendere lo Stato d’Israele”. “È impossibile mettere in discussione lo studio della Torah – il commento di Elyakim Rubinstein, giudice della Corte Suprema ed ebreo osservante – e la sua voce, che rappresenta una protezione, una salvezza e la continuità per la nostra esistenza come nazione, continuerà ad essere ascoltata come un valore dello Stato. Quello che è stato detto qui (in tribunale) non è un attacco ma un tentativo di costruire. Il giorno in cui l’intera società ebraica – le parole di Rubinstein – avrà la sensazione che la sicurezza fisica dello Stato sarà garantita dai haredim, sarà un giorno di festa”. Il giudice, vicepresidente della Corte che presto lascerà il suo ruolo per andare in pensione, ha anche detto che “fino a che continuerà l’attuale saga (i contrasti sulla leva obbligatoria), le leggi continueranno ad andare e venire, mentre rimarrà l’amara la sensazione di diseguaglianza”.
Secondo la radio dell’esercito israeliano, nel 2016 il 72 per cento delle persone che inizialmente erano nella lista di leva ha poi effettivamente servito nell’esercito (dal 2015, 32 mesi per gli uomini, due anni per le donne). Il restante 28 per cento è rappresentato per la maggior parte da giovani haredim (la statistica comprende anche persone esentate per motivi medici e una piccola minoranza di obiettori di coscienza), su cui si concentra la sentenza della Corte. Una disposizione per costringerli a vestire l’uniforme era stata già approvata nel recente passato: un provvedimento voluto in particolare da Yair Lapid e passato nel 2014, quando questi faceva parte con il suo Yesh Atid del governo del Primo ministro Benjamin Netanyahu. Un anno dopo però, nuove elezioni, nuovo governo Netanyahu e niente più legge sulla coscrizione obbligatoria dei haredim: Netanyahu infatti in questa ultima legislatura conta sull’appoggio dei partiti ultraortodossi che, tra le prime cose, hanno chiesto in cambio del sostegno la cancellazione della norma voluta da Lapid.
In questa battaglia normativa a far riflettere sono però i dati di cui scrive il giornalista israeliano Danny Zaken, che aprono una prospettiva diversa. Secondo una fonte del giornalista all’ufficio del personale di Tsahal, negli ultimi tre anni le reclute haredi sono aumentate del 12/13 per cento. Nel 2016 erano 2800, mentre le stime per tutto il 2017 parlano di 3200 persone. In 10 anni, continua Zaken, c’è stato un aumento della partecipazione dei haredim dovuto a un maggiore dialogo tra questo settore, le istituzioni civili e militari. Nel decennio 1997-2007 si erano arruolati 1500 uomini ultraortodossi, nel decennio successivo, 16.500. Un numero 11 volte superiore. Secondo Zaken ma anche secondo Gilad Malach dell’Israel democracy institute, la sentenza della Corte Suprema, per quanto giusta, rischia di essere d’ostacolo a questo trend, mettendo sulla difensiva tutto il mondo haredi e dando un appoggio a chi, al suo interno, ostracizza chiunque scelga di servire nell’esercito invece che studiare in una yeshiva. “I numeri – scrive Zaken – dimostrano che il dialogo e la cooperazione con la leadership ultra-ortodossa sul tema della coscrizione obbligatoria conducono ad un aumento del numero di studenti di yeshiva che servono nell’esercito”. 

Daniel Reichel