L’alienazione che disumanizza

Sapienza alienataIeri sera si svolta presso il Circolo dei Lettori di Torino la presentazione del saggio di Giuseppe Veltri Sapienza alienata (edito da Aracne). Veltri è professore ordinario di filosofia ebraica all’Università di Amburgo, dove dirige anche il Centro “Maimonide” di studi avanzati sullo scetticismo ebraico. Emigrato per ragioni di lavoro tre decenni or sono nella Berlino ancora divisa, Veltri può oggi considerarsi uno dei più insigni ebraisti dell’area tedesca (e quindi europeo). Questo lavoro di Veltri, che rientra nel suo interesse pluriennale per lo scetticismo filosofico, è un saggio che dimostra quanto l’intelligenza, il contesto culturale e le condizioni politiche possono favorire la fioritura di determinate correnti storiografiche ed esistenziali (come lo scetticismo), miranti alla creazione di un mondo tollerante e anti-dogmatico.
Il lavoro di Veltri è diviso in tre parti. Una prima (Tra mito e alienazione) è dedicata all’analisi del rapporto fra cultura ebraica e pensiero greco (e greco-romano), cercando di cogliere la formazione di una “sapienza” prettamente ebraica all’interno di un contesto (come quello ellenistico e poi romano) caratterizzato dall’esistenza di una cultura politica preponderante (quella greca) e dall’esigenza da parte della diaspora ebraica di salvare la tradizione avita con l’invenzione della “tradizione”. Un discorso analogo può farsi infatti per il dibattito sull’essenza dell’ebraismo (il problema della Torah come “Legge cerimoniale”), avviato nel mondo riformato e tendente (specie a Venezia) a trovare nell’apologetica ebraica una via per criticare la pericolosa riduzione dell’ebraismo a “farisaismo”.
La seconda parte del lavoro di Veltri (Storia di concetti e definizioni) si sposta fra l’età moderna e contemporanea per cercare di capire come, nel contesto tedesco (cioè presso la Scienza dell’Ebraismo di Leopold Zunz), si sia avviato il dibattito circa la liceità di una filosofia e poi teologia propriamente ebraiche. Anche in questo caso, un dibattito apparentemente accademico è il riflesso di un problema culturale più generale e riguardante, come nel caso ellenistico, la difesa e la valorizzazione della propria autorità e tradizione di fronte alle sfide delle aperture ottocentesche (l’equiparazione giuridica post-napoleonica). Una difesa attiva e basata sull’applicazione del metodo scientifico al corpus storico-esegetico dell’ebraismo.
La terza parte (Attitudine scettica) è dedicata invece al problema dell’esistenza di uno scetticismo squisitamente ebraico e al concetto di alienazione (termine dotato di uno statuto giuridico e filosofico particolare). Veltri cerca di evidenziare il ruolo necessariamente passivo esercitato dalla tradizione ebraica in questo processo di alienazione: riferendosi in particolar modo al caso tedesco, lo studioso calabrese sottolinea il processo di alienazione, spoliazione e “toglimento-privazione” di sé attuato dalla cultura maggioritaria verso quella ebraica. Gli esiti di questo processo apparentemente solo intellettuale e culturale saranno evidenti quando il “legalitarismo” sarà contrapposto all’amore, il particolarismo all’universalismo, l’astratto intelletto calcolatore al cuore pulsante dell’uomo. Termini che, dal romanticismo, condurranno poi all’antisemitismo politico di fine Ottocento e inizio Novecento. L’alienazione diventa quindi il passo verso la disumanizzazione della minoranza ebraica, privata dei suoi punti di riferimento e poi della sua umanità.
La parte finale del saggio indaga il problema estetico della rappresentabilità del divino nel mondo ebraico e dello stretto nesso fra immagine e parola esistente nella tradizione ebraica. La riproduzione del divino nell’immagine dell’uomo è il mezzo per riportare l’uomo alla parola. Dio non è quindi una figura irrappresentabile o bisognosa di un “figlio” (come ci insegna il cristianesimo), ma è trasposto dalla continua generazione degli uomini, loro sì capaci di perpetuare l’immagine di Dio nel mondo.
Il lavoro di Veltri, che è stato discusso con Claudia Milano, studiosa di Rosenzweig e docente alla Facoltà Teologica dell’Italia settentrionale, e Andrea Poma, studioso di Cohen, Buber e docente di Filosofia morale all’Università di Torino, ha suscitato un ampio e vivace dibattito fra i presenti. Al di là della difficoltà dei temi sollevati dallo studioso calabrese, lo scetticismo non solo come metodo filosofico, ma anche come visione distruttiva e costruttiva delle cose, è apparso, nel contesto attuale in cui viviamo (che non è così diverso da quello in cui sorse lo scetticismo “storico” di Pirrone), un modo efficace per entrare costruttivamente a contatto con gli altri, evitando di “spogliarli” della loro identità e contribuendo invece a renderli attori protagonisti di un cammino di crescita e di miglioramento della vita umana. A dispetto dell’acatalepsia o dell’atarassia.

Vincenzo Pinto