Tel Aviv, Premio Dan David
La difesa della democrazia

Una tavola rotonda che ha per titolo “Democrazia sotto assedio” non può che colpire, anche all’interno di una università, luogo naturale per indagini senza paraocchi sul presente e su tutti gli altri tempi. Nel quadro della consegna dei premi Dan David del 2019, si è tenuta una discussione, a tratti non molto edificante, su quanto la democrazia liberale di stampo inglese e nordamericana, emersa vincitrice dopo la Seconda guerra mondiale, sia appunto sotto assedio e se abbia speranze di sopravvivenza. La mancanza del punto interrogativo alla fine del titolo della tavola rotonda non è stato purtroppo un errore di stampa.
Dalla sua istituzione nel 2002, il premio Dan David, distribuito dalla omonima Fondazione e ospitato nell’Università di Tel Aviv, riconosce l’eccellenza accademica di studiosi di tutto il mondo con tre premi annuali, ciascuno del valore di un milione di dollari. I premi sono improntati a quello che Ariel David, direttore della Fondazione e figlio del fondatore del premio, Dan, definisce “nomadismo disciplinare”, e scorrendo la lista dei professori e accademici che negli anni hanno ricevuto il premio salta agli occhi l’estremo eclettismo delle materie rappresentate. Questo avviene anche perché i tre premi rispondono un nomadismo che è anche temporale: presente, passato e futuro sono i tre ampi filoni all’interno dei quali ogni anno vengono scelti i temi specifici, che migrano quindi con leggerezza quasi poco accademica dall’astrofisica alla medicina preventiva, passando per la filosofia contemporanea, la lotta alla povertà e la nanoscienza, solo per citare alcuni dei temi portanti degli ultimi anni.
Nel 2019, i tre temi sono stati: “Macro-storia” per il passato, “La difesa della democrazia” per il presente, e “La lotta contro il cambiamento climatico” per il futuro. Si potrebbe obiettare che il tema dei cambiamenti climatici appartiene ormai molto più al presente che al futuro, ma la discussione sulla difesa della democrazia pare decisamente urgente, e quindi ben venga il suo posizionamento nella categoria “Presente”, e il premio al professor Michael Ignatieff, presidente e rettore della Central European University a Budapest. Il premio per il filone che guarda al passato è andato quest’anno ai professori Kenneth Pomeranz, Modern Chinese History, Università di Chicago, e Sanjay Subrahmanyam, Università della California, entrambi esperti di macro-storia, mentre l’eccellenza accademica che guarda al futuro è stata rappresentata da Christiana Figueres, fondatrice dell’organizzazione Global Optimism e figura di primo piano nella lotta ai cambiamenti climatici.
Durante la tavola rotonda intitolata “Democrazia sotto assedio”, Ignatieff, che ha anche un passato politico nel partito liberale canadese, non ha indorato la pillola nel descrivere lo slittamento delle democrazie moderne da una originale base costituita dal voto insieme alle carte costituzionali, diverse per ogni paese ma sostanzialmente simili nella loro natura di contraltare regolativo alla pura espressione di preferenze politiche da parte del popolo, ad una nuova fase in cui l’unica cosa che sembra rappresentare un valore è la maggioranza dei votanti. A questo si è arrivati a suo vedere a partire dall’Undici Settembre, il primo momento nella storia dopo la caduta del comunismo, in cui i cittadini del globo hanno cominciato a chiedersi “chi mi proteggerà adesso?”. A seguire la stessa domanda ha risuonato durante e dopo la profonda crisi economica globale del 2008. E ancora la stessa domanda riecheggia quando i cittadini vengono messi di fronte alle migrazioni di massa dell’ultimo decennio. La mancanza di una chiara risposta da parte delle istituzioni nazionali e sovranazionali è ciò che nutre i populismi contemporanei, tutti concentrati nella demonizzazione dell’altro, in particolare il concorrente politico dell’altro lato del parlamento. La nostra generazione, ha riassunto Ignatieff, è ancora cresciuta rispettando la persona che la pensa diversamente da noi, per la strada come nel parlamento: la democrazia è in effettivo pericolo quando si tratta chiunque la pensi diversamente da noi come un nemico e un traditore della patria.
Alla tavola rotonda hanno partecipato il professor Shlomo Avineri (Università Ebraica di Gerusalemme), la professoressa Yuli Tamir (Shenkar College of Engineering, Design and Art) e Tzipi Livni, ex ministro degli Esteri e attualmente non attiva in politica, che ha contribuito alla discussione con un richiamo al produrre contenuti – in particolare politici – che possano essere recepiti dalle nuove generazioni. Se un tempo si scrivevano pamphlet programmatici alti un dito, oggi un video e un messaggio breve raggiungono le nuove audience in modo più efficace e coerente al contenuto stesso. Questa è una raccomandazione applicabile certamente in politica, più difficile forse tradurla all’interno del mondo accademico, per quanto eclettico e nomade nell’interpretazione multi-temporale del premio Dan David.
Si attendono per le prossime settimane i filoni sotto i quali la Fondazione comincerà a ricevere candidature per il 2020.

Daniela Fubini