La Comunità etiope d’Israele
“No a violenze ma proteste legittime”

Schermata 2019-07-04 alle 15.08.47Dopo due giorni di scontri accesi, le proteste della Comunità etiope per l’uccisione a Haifa di un ragazzo di 18 anni, Solomon Tekah, colpito da un poliziotto fuori servizio, sono scemate. I manifestanti hanno ascoltato la richiesta della famiglia Tekah che in un comunicato ha ringraziato “tutti per il sostegno e dell’essersi immedesimati con il grande lutto che abbiamo sofferto. Abbiamo perso un figlio e chiediamo al pubblico di non organizzare proteste durante la shiva (l’osservanza di sette giorni di lutto), di agire con moderazione e pazienza”. L’uccisione di Tekah ha infatti riacceso la rabbia di una comunità che da tempo denuncia la violenza della polizia ai suoi danni e una più ampia discriminazione ai danni dei suoi membri. Le proteste hanno portato a 136 arresti, 83 manifestanti e 83 agenti di polizia sono rimasti feriti durante le manifestazioni in cui sono state bloccate i principali incroci in tutto il paese, in particolare a Tel Aviv. Alcune delle proteste sono diventate violente, e la polizia e i media hanno riferito di lanci di pietre, molotov e pneumatici bruciati. Per questo la famiglia Tekah ha chiesto la calma ma promettendo di voler continuare la protesta: “Alla fine dello shiva, terremo proteste giuste e legittime in modo organizzato e coordineremo le parti interessate senza danneggiare la vita quotidiana del pubblico, senza violenza. Invitiamo tutti i ragazzi e i loro genitori ad evitare qualsiasi provocazione inutile. La rabbia e la frustrazione che sono state espresse negli ultimi giorni sono la rabbia accumulata in anni di continua negligenza nel non sradicare il razzismo” dalla società israeliana.
Anche il presidente Reuven Rivlin ha chiesto di porre fine alla violenza e di riunire gli israeliani per capire come affrontare insieme la crisi. “Dobbiamo fermarci, ripeto, fermarci e pensare insieme a come andiamo avanti da qui. Questa non è una guerra civile. È una lotta comune di fratelli e sorelle per la loro casa comune e il loro futuro comune. Chiedo a tutti noi di agire in modo responsabile e con moderazione”, le parole del presidente d’Israele. “Siamo fratelli e sorelle. Siamo venuti qui, tutti noi, nella nostra patria, che è la patria di ciascuno di noi, e siamo tutti uguali in essa. Combatteremo per i nostri valori e lotteremo per garantire un futuro sicuro per ogni bambino che cresce qui. Non accetteremo una situazione in cui i genitori non fanno uscire di casa i figli per paura di essere feriti a causa del colore della pelle o dell’origine etnica”. Tra coloro che hanno espresso le proprie condoglianza ai Tekah, il ministro per la Pubblica sicurezza Gilad Erdan che nelle scorse ore si è recato in visita dalla famiglia. “Milioni di cittadini condividono il vostro dolore”, ha detto Erdan. “Quello che è successo con Solomon è triste e tragico, e spero che questo sia l’ultimo caso”. Il ministro ha anche promesso che sarà rivisto il modello investigativo del Dipartimento Indagini Interne della Polizia (PIID), che si occupa delle indagini contro i funzionari di polizia accusati di violenza e altre infrazioni. “C’e’ una totale mancanza di fiducia nelle indagini della polizia (da parte della Comunità etiope). Credo ai membri della comunità quando dicono che a volte ci sono errori e fallimenti nella condotta degli agenti di polizia…. e che alcune indagini del PIID non sono fatte in profondità o non sono efficaci”, ha detto Erdan.
Il problema delle discriminazioni nei confronti della Comunità etiope è un tema noto, sottolinea su Ynet il giornalista Nahum Barnea, che racconta di essere rimasto fermo nel traffico per le proteste.
“Gli israeliani sono normalmente molto possessivi della loro libertà di movimento. – scrive Barnea – Mettete un blocco sul loro cammino e useranno ogni mezzo per circumnavigare l’ostacolo, e in mancanza di ciò ricorreranno a grida, clacson o allo shaming sui social media. Ma martedì c’era silenzio. Per oltre due ore ho sentito un solo clacson dalle auto in fila. E sulle strade parallele, aperte al traffico, le auto hanno suonato in sostegno ai manifestanti. Questo dice molto sul senso di colpa che molti israeliani condividono o forse è più un senso di imbarazzo e di vergogna. Spiega anche il punto di vista degli israeliani sull’establishment. Sanno perché i manifestanti non hanno fiducia nella polizia, come potrebbero essere altrimenti?”. Secondo Barnea, “gli israeliani hanno a cuore ogni storia di successo di un membro della comunità etiope […] ma sono ciechi di fronte agli smarriti e ai disoccupati della periferia delle città, sordi alle storie delle loro lotte ed esperienze quotidiane”. Da qui la violenta rabbia espressa nelle strade – uscita in alcuni casi fuori da ogni controllo con eccessi pericolosi – e la richiesta di risposte concrete e non di promesse.
Pnina Tamano, membro della Knesset per Kachol Lavan e della comunità etiope, ha condannato la violenza nelle manifestazioni degli ultimi giorni, ma ha aggiunto: “I giovani ebrei etiopi stanno rivolgendo la loro ira verso un’istituzione indifferente e sigillata che ha distrutto un’intera comunità”. Secondo Tamano la rabbia è il risultato di anni di separazione ed esclusione che iniziano già nell’infanzia e trasformano la comunità immediatamente in sospetti. Secondo lei, molti giovani che subiscono violenza da parte della polizia non hanno a chi indirizzare le denunce. “Se il Dipartimento per le Indagini di Polizia esaminasse a fondo ogni caso di violenza, non saremmo arrivati a questa difficile situazione”.

Daniel Reichel @dreichelmoked