Israele alle urne tra tante incognite 

elezioni israeleTra meno di ventiquattro ore milioni di israeliani torneranno alle urne per votare uno dei trenta partiti in corsa per questa ennesima tornata elettorale. E il rischio è che si ripeta lo stallo di aprile, quando i due partiti più grandi, il Likud del Premier Benjamin Netanyahu e il Kachol Lavan dell’ex capo di Stato Maggiore Benny Gantz, non erano riusciti ad avere i numeri per formare una coalizione. Le similitudini con l’ultima elezione sono molte, su tutte l’idea che si tratti di un referendum sul Premier Netanyahu. La stampa israeliana e internazionale in questi mesi ha sottolineato come le tre indagini a carico del leader del Likud non abbiano scalfito la fiducia che una parte dell’elettorato di destra nutre nei suoi confronti. Mr Sicurezza, come viene chiamato da alcuni, o King Bibi. Un politico solo al comando, come dimostra la scelta di Netanyahu di far firmare ai suoi compagni di partito un giuramento per cui si impegnavano a indicare solo lui come possibile Primo ministro dopo il voto di settembre. Tutti hanno siglato il testo, tutti pienamente fedeli o forse troppo schiacciati dalle capacità del leader per essere autonomi. Anche i sostenitori del Likud fanno fatica a individuare qualcuno che possa succedere a Netanyahu nella guida del partito e del paese. Qualcuno che gli tenga testa. Avigdor Lieberman, il leader del partito dell’ultradestra Israel Beitenu, ci sta invece provando da lontano: dopo aver fatto saltare la possibile coalizione di governo ad aprile e portato Netanyahu a chiedere (ed ottenere) nuove elezioni, Lieberman ha più volte lanciato messaggi di apertura verso il Likud e l’avversario Kachol Lavan, suggerendo una grande coalizione unitaria, possibilmente senza Netanyahu. Un’idea non così folle visto che il giuramento di fedeltà voluto dal leader del Likud è arrivato proprio come risposta alla proposta di Lieberman: Netanyahu è preoccupato che lo scenario di un governo senza di lui possa verificarsi. E Lieberman spera di esserne l’autore o di essere comunque riconosciuto come tale.
L’altro protagonista di questo scenario dovrebbe essere Benny Gantz, il generale del partito dei generali Kachol Lavan (con lui, oltre a Yair Lapid, ci sono due altri ex capi di Stato maggiore, Gabi Ashkenazi e Moshe Yaalon). Gantz ha unito le forze che vogliono il cambiamento e già in aprile ha ottenuto un ottimo risultato, guadagnando 35 seggi alla Knesset. La sua campagna elettorale si basava su un punto: sostituire Netanyahu. Un milione e 125mila elettori sono stati convinti da Gantz e gli altri. Tanti ma non abbastanza per ottenere il mandato dal presidente Reuven Rivlin. L’incredibile ritorno alle urne ha offerto a Kachol Lavan una seconda chance ma in questi mesi molti analisti si sono chiesti “dove è finito Benny Gantz?”. A parte qualche uscita – con alcuni svarioni come l’apertura poi ritrattata a una premiership con Netanyahu – la campagna elettorale di Gantz è stata molto poco appariscente. “L’obiettivo del partito è sostituire l’attuale governo, senza usare la retorica distruttiva dell’attuale governo”, ha spiegato Melody Sucharewicz. “I tentativi di Gantz di proiettare civiltà sembrano averlo portato a confondere erroneamente la volgarità e l’isteria stridula con il confronto di qualsiasi tipo – afferma invece l’analista politico Guy Frenkel – Di conseguenza, si è lasciato sfuggire occasione dopo occasione per denunciare le numerose trasgressioni del primo ministro, dando l’impressione di essere impreparato, o semplicemente incapace di cogliere la serietà con cui dovrebbe affrontare tali questioni”. Secondo alcuni sondaggi, il 42 per cento degli israeliani preferisce vedere ancora una volta Netanyahu come primo ministro, solo il trenta vorrebbe Benny Gantz.
I due partiti sono in ogni caso nuovamente coinvolti in una sfida testa a testa: gli ultimi sondaggi danno il Likud a 32 così come Kachol Lavan. Gli altri partiti costituiscono le variabili più importanti: in particolare l’estrema destra Otzma Yehudit che se dovesse passare la soglia di sbarramento del 3,25% darebbe una grossa mano a Netanyahu. Con gli eventuali 4 seggi di questa piccola fazione il leader del Likud si avvicinerebbe alla soglia dei 61 voti alla Knesset e potrebbe più facilmente negoziare con gli altri partiti (oppure con i singoli) per ottenere i numeri per governare. Se poi uno tra Meretz, il partito della sinistra, o i laburisti non dovesse superare la soglia allora la strada per l’attuale Premier sarebbe spianata. Ma le incognite sono molte e tutto si gioca su pochi voti. Quello che è certo, ha spiegato il demografo Sergio Della Pergola a Pagine Ebraiche, è che si prospettano faticose settimane di trattative prima che Israele possa contare su un nuovo esecutivo. Chiunque emerga vincitore domani.