Cisgiordania e “insediamenti non illegali”
Il cambio di rotta Usa visto da Israele

mike pompeoDopo il riconoscimento ufficiale di Gerusalemme capitale d’Israele e della sovranità israeliana sulle alture del Golan, gli Stati Uniti del Presidente Donald Trump hanno annunciato un altro cambio significativo rispetto alla diplomazia Usa del passato: il segretario di Stato americano Mike Pompeo ha infatti annunciato nelle scorse ore che per Washington “Gli insediamenti di civili israeliani in Cisgiordania non sono discordanti con le leggi internazionali”. Invertendo la rotta rispetto a decenni di politica estera americana (in particolare in riferimento a un parere legale del 1978 del Dipartimento di Stato), Pompeo ha affermato che definire gli insediamenti israeliani in Cisgiordania, costruiti a partire dal 1967 (dopo la Guerra dei sei giorni), come “illegali non fa fare passi avanti alla pace” e che “la dura verità è che non vi sarà mai una soluzione giuridica al conflitto”. Pompeo ha poi sostenuto che i tribunali israeliani sono attrezzati per risolvere le controversie sulla legalità dei singoli insediamenti, ma ha anche avvertito che il cambiamento di politica non deve essere visto come una decisione degli Stati Uniti sullo “status definitivo della Cisgiordania. Questo devono negoziarlo israeliani e palestinesi negoziare. Il diritto internazionale non impone un particolare risultato, né crea alcun ostacolo giuridico a una risoluzione negoziata”.
Da Israele, il Primo ministro Benjamin Netanyahu e il leader di Kachol Lavan Benny Gantz hanno messo da parte per un attimo la sfida per ottenere la premiership del prossimo governo e applaudito alla decisione Usa. Il primo ministro ha definito l’annuncio come un “giorno storico” per Israele e ringraziato Trump per aver ripristinato “una verità storica: che il popolo ebraico non è un colonialista straniero in Giudea e Samaria”. “Plaudo al governo degli Stati Uniti per la sua importante dichiarazione, che dimostra ancora una volta la sua ferma posizione a fianco d’Israele e il suo impegno per la sicurezza del Medio Oriente. Il destino degli insediamenti dovrebbe essere determinato da accordi che soddisfino i requisiti di sicurezza e promuovano la pace”, il messaggio invece di Gantz, la cui testa in queste ore è concentrata nel cercare di dare una soluzione al rebus della formazione del governo d’Israele: domani sera infatti scadranno i giorni a sua disposizione per formare un esecutivo e questa sera incontrerà Netanyahu per un ultimo tentativo per un accordo di unità nazionale. Nulla sembra muoversi e il rischio di una terza elezione si sta concretizzando, salvo una possibile (ma improbabile) scelta di Avigdor Lieberman di fare marcia indietro e – dopo mesi di scontro – entrare in una maggioranza guidata da Netanyahu e soprattutto sostenuta dai religiosi tanto attaccati dallo stesso Lieberman.
In questa situazione di precarietà, i giornalisti israeliani si chiedono se l’annuncio di Pompeo sugli insediamenti non sia un aiuto politico a Netanyahu, seppur diverse voci affermano che di fatto non modifica la situazione sul terreno. “È impossibile attribuire alla dichiarazione un significato pratico, perché in pratica abbiamo costruito insediamenti nel corso di decenni senza considerare le rivendicazioni legali”, ha dichiarato il ministro della Cooperazione regionale Tzachi Hanegbi, dimostrando meno entusiasmo rispetto al suo capo politico e di governo Netanyahu. “L’affermazione di Pompeo è priva di significato, così come il fatto che Gantz l’abbia accolta con favore. – afferma il giornalista israeliano Anshel Pfeffer – Tutti i governi israeliani dal 1967, compresi quelli di Rabin, Peres e Barak, hanno costruito insediamenti e non accetterebbero mai di essere illegali. È triste, ma il diritto internazionale non ha mai funzionato in Medio Oriente”.

Daniel Reichel