Discorso del presidente Luzzatto

Giorno della memoria: Roma, discorso del presidente Luzzatto alla Scuola superiore dell’amministrazione dell’Interno

27 gennaio 2005

Scuola Superiore dell’Amministrazione dell’Interno – Giornata della Memoria 27 gennaio 2005 Da più parti ci giunge una accorata richiesta per evitare il rischio di fare della Giornata della Memoria uno stanco rituale di un evento da esorcizzare “perché non succeda mai più”; in questo modo isolandolo in un passato che è orribile quanto si vuole ma che, appunto, è passato; e questo ci dà garanzie di irrepetibilità, una specie di immunità permanente. Sono d’accordo per soddisfare questa esigenza, ma, al tempo stesso, debbo dire che, per farlo, mi vedo costretto ad affermare che la Shoà non appartiene al passato ma quanto meno al presente e come tale dobbiamo trattarla. Potrei fare un elenco degli atti antiebraici, teorici o materiali e concreti, che avvengono ancora attorno a noi; ma diventerebbe un lavoro di cronaca più o meno nera, la cui prevenzione è soprattutto un lavoro di pubblica sicurezza. Che è sempre necessario e indispensabile e che, per garantire il futuro, deve essere integrato con approfondimenti e interventi mirati. Per questa ragione ritengo utile ricordare Karl Lueger (1844-1910), Sindaco antisemita di Vienna, cui si attribuisce la frase singolare: “Chi è ebreo e chi non è ebreo lo stabilisco io”. Decodificando questa frase, sarebbe come dire: “E’ ebreo non colui il quale è cosciente della propria ebraicità, ma colui che io, antisemita, detesto, in quanto…” e qui ci viene facilmente in soccorso la letteratura antiebraica, con i suoi fantasmi, i suoi miti, le sue calunnie e soprattutto le sue generalizzazioni, che sono sempre valide anche se contradditorie: gli ebrei sono padroni della finanza ma anche straccioni miserabili, sporchi e pidocchiosi che infestano le città. Oppure sono tutti capitalisti, ma sono anche tutti pericolosi comunisti. Qual è l’ebreo che non si è mai sentito dire di essere “ospite” ed “estraneo” in questo Paese? Le stesse persone che mi dicevano nel 1946: “andatevene in Palestina” mi hanno detto pochi anni dopo: “perché siete andati in Palestina a portare via quella Terra agli arabi?”. Il primo problema da affrontare non è, dunque: che cosa non va negli ebrei, in che cosa essi devono modificarsi, ma semmai: quali sono i problemi profondi irrisolti nella società non ebraica per i quali essa ha bisogno degli ebrei per detestarli? Sportivamente parlando, il tifoso “ultrà” che grida “arbitro ebreo”, che cosa ha bisogno di attribuire all’arbitro (e perché?) con questo epiteto, che lui considera un’offesa infamante, per sentirsi gratificato? Cercando di rispondere a queste domande, scopriremo che l’antisemitismo riconosce tre tipi di radici. La prima è certamente teologica e consiste nel mancato riconoscimento da parte degli ebrei di Gesù come Messia e come essere divino. Ma non si è mai trattato di un mero dissenso sui princìpi, semmai di un duro confronto nella società più che nei consessi filosofici fra una maggioranza egemone e una minoranza emarginata, oppressa, spesso violentata. La seconda radice è quella razzistica, che si è sviluppata in tempi moderni, in tempi scientifici, con la pretesa di fornire una ipotetica base razionale a un odio che è, in sé, la premessa del razzismo, non la conclusione tratta da un’analisi di dati documentabili. La terza radice è quella politica e vede sul banco degli accusati lo Stato degli ebrei, visto come causa delle tensioni medio-orientali e mai all’inverso, neppure ipoteticamente, come la conseguenza locale di queste ultime, che hanno spesso cause che sono addirittura estranee alla stessa regione. Non sradicheremo certo queste cause dell’antisemitismo e delle sue più aberranti conseguenze, tra cui la Shoà, con un breve intervento. Analizzarle una per una richiede tempo, impegno, seminari di studio. In parte, tutto questo si fa già; alcune Università hanno dato vita a interessanti iniziative, sorgono associazioni per la promozione di una cultura di ricerca seria e di reciproca conoscenza, a livello italiano ed europeo. Se veramente vogliamo che “non succeda mai più”, tutte queste iniziative vanno sostenute e coordinate. Per quale scopo? Affinché la ricerca possa allevare schiere di educatori con riflessi tangibili nell’insieme della società civile. Proprio in base a queste considerazioni l’UCEI vede con favore e sostiene tutte le iniziative che, come quella odierna, sono volte ad irrobustire la coscienza e la volontà democratica della popolazione. Non sono in gioco solo i diritti delle minoranze, non sono in gioco i diritti degli ebrei a godere di tranquillità dopo secoli di ansie, di fughe precipitose, di espulsioni e di violenze. Certo, anche di questo si tratta. Ricordiamoci però soprattutto che una società che violenta una parte di sé stessa non sarà mai una società civile e sana. L’impegno che auspichiamo si identifica pertanto con l’impegno per la difesa di questo nostro Paese, della sua civiltà, della sua stessa democrazia.

Amos Luzzatto
Presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane