Intonare cervello e cuore, musica e parole
Un pubblico vibrante e commosso ha applaudito a lungo l’intervento del rabbino capo di Milano Rav Alfonso Arbib, che ha aperto il ciclo di interventi di studio alla Giornata Europea della Cultura.
“Scrivete per voi questa cantica” questo il titolo dello “shiur” (lezione) di Rav Arbib versetto tratto dal libro biblico di Devarim (Deuteronomio), punto di partenza scelto dal Rav per spiegare lo stretto rapporto che lega l’ebreo alla musica, dove per cantica si intende, appunto, la Torah.
Ma questo versetto rappresenta anche l’ultimo dei 613 precetti della tradizione ebraica che prescrive la norma, per ogni ebreo di scriversi o farsi scrivere un Sefer Torà.
Verrebbe spontaneo domandarsi, ha detto Arbib, perché questo versetto paragona la Torah ad una cantica, perché studiare Torah significa cantare.
Una delle spiegazioni possibili, ha spiegato, possiamo trovarla in un passo di Maimonide che parla della profezia.
In che modo un profeta si prepara a ricevere la profezia? Ascoltando musica, proprio perché la musica dà gioia ed una profezia non si riceve se non si è felici, tanto è vero che nei momenti di lutto non si può sentire musica. Sul Deuteronomio c’è scritto, appunto, che il Beth ha Miqdash fu distrutto perché gli ebrei non avevano servito D-o con gioia, perché il rapporto con D-o chiede partecipazione emotiva, sentimento.
Un altro elemento interessante lo troviamo in un altro precetto che è quello di suonare lo shofar: abbiamo l’obbligo preciso, ha continuato Arbib, di ascoltare il suono dello shofar. Il testo biblico non offre spiegazioni ed i nostri maestri hanno offerto tante spiegazioni possibili.
Una spiegazione suggestiva viene suggerita dalla tradizione mistica e precisamente dallo Zohar, secondo il quale il suono dello Shofar è la parte segreta della voce, distinguendo fra voce e parole.
Le parole sono importantissime, ma a volte possono essere anche un elemento negativo perché possono servire ad ingannare, la voce è invece un suono dell’anima ed esprime ciò che abbiamo dentro, qualcosa che non viene mediato, ma esprime esclusivamente la parte più interiore dell’essere umano. Con lo Shofar tentiamo di sentire solo il suono.
E proprio mentre il pubblico seguiva affascinato le parole di Rav Arbib che argomentava dettagliatamente le motivazioni per cui la partecipazione emotiva sia un elemento tanto importante nel rapporto con D-o e la musicalità ne sia parte integrante, egli ha capovolto il ragionamento richiamando il salmo 119 nel quale il Re Davide dice “Sono suoni per me i tuoi precetti”. Il Talmud dice che il re Davide fu punito per aver detto questo, dal momento che non si possono ridurre le parole di D-o a musica.
Il messaggio che possiamo trarre, ha concluso Arbib, è questo che se da una parte la capacità di esprimere le emozioni è fondamentale, dall’altro bisogna fare attenzione a non trasformare il rapporto con la tradizione in puri sentimenti.
L’ebraismo è pensiero, riflessione, azione, bisogna essere capaci di non soffermarsi alla suggestione, ma andare oltre: in ogni essere umano sono presenti il cielo e la terra. Questo è la Torah, ha spiegato il Rav Arbib. E chi la vuole conoscere deve riuscire a intonare cervello e cuore, musica e parole.
Lucilla Efrati