Fare i conti con la Shoah. A testa alta

Ci sono molti modi di raccontare la Storia. E ci sono diversi modi di concepire e di sopravvivere al concetto di Shoah. Elena Loewenthal, che onora Moked.it – il Portale dell’ebraismo italiano di preziosi contributi, ha deciso di dirci che il nostro rapporto con la Storia ha forse bisogno di essere ripensato, che potrebbe essere meno scontato, meno sbiadito, meno dipendente da come gli altri ci vorrebbero. E più vicino a come noi vorremmo essere. E lo fa con un libro straordinario (“Conta le stelle, se puoi“, Einaudi editore), con un romanzo che in 260 pagine racconta le vicende solo apparentemente immaginarie di una famiglia ebraica italiana. Questo volume, appena uscito in libreria, promette di farci vedere il passato in una maniera diversa e di liberarci da una dipendenza che rischia di soffocarci. In una pagina lucida e fulinante, posta al termine della narrazione, l’autrice spiega come secondo la sua sensibilità, è possibile fare i conti a testa alta con la Shoah. Lontano dalle convenzioni e dalle scelte di comodo. Ascoltiamola.
gv

“Due parole col rimpianto di poi.
Il lettore non avrà difficoltà a convincersi che questa non è una storia vera. Quella vera, das, was war («ciò che era stato»), come la chiama Paul Celan, è svanita dentro le ciminiere dei forni crematori, nelle camere a gas, nelle fosse comuni. Allora, ho voluto provare a non arrendermi alla verità della Storia.
A immaginarne una, inventata ma verosimile, come se non fosse successo quello che è successo. E costruirla insieme a chi non c’è più.
L’ho scritta per non arrendermi al silenzio di quei morti. Per provare, una volta tanto, a pensare la Storia non senza di loro, ma insieme a loro. Immaginandoli accanto a me. A noi.
E il solo modo che ho trovato per non darla vinta a quel brutto muso di Mussolino, come direbbe nonno Moise.
Ho cercato di lasciare tutto o quasi com’era e come è stato, ma senza la Shoah. Perché la Shoah non sta dentro, sta fuori dalla nostra storia. E silenzio di morte, invece che vita e parole.
Così, siamo diventati molti di più. Dedico questa storia a tutti coloro che hanno vissuto quell’altra,
purtroppo vera. A chi non è mai più tornato. A chi l’ha attraversata, per raccontarla. O per tacerla, proprio come faceva mia nonna”.

Elena Loewenthal

Moise Levi ha solo ventitré anni la mattina di fine estate in cui lascia Fossano portandosi dietro un carretto di stracci. Vuole andare a Torino a far fortuna, e non può immaginare che quello sia solo l’inizio di una lunga storia. Perché Moise possiede un fiuto eccezionale per gli affari e per i sentimenti: darà il via a una florida ditta di commerci nel ramo tessile, e avrà due mogli, sei figli e un’infinità di nipoti sparpagliati ai quattro angoli del mondo. Dopo la grande guerra mondiale e quel “brutto spettacolo” della marcia su Roma, finalmente la vita di tutti ha ripreso il suo corso. Meno male che nel 1924 a quel “brutto muso di Mussolini” gli è preso un colpo secco, altrimenti la storia di nonno Moise e della sua discendenza sarebbe stata molto diversa. Invece la famiglia Levi – con i suoi amori e i suoi affanni, i suoi commerci e le sue tribolazioni, le grandi cene di Pasqua e i lunghi silenzi delle stanze chiuse – diventa sempre più numerosa nella casa di via Maria Vittoria, costruita proprio lì dove una volta c’era il ghetto e adesso non c’è più. Elena Loewenthal non ha riscritto la Storia all’incontrario: ha provato piuttosto a mettere la vita al centro, dove la morte ha cancellato tutto. Ha lasciato scorrere la quotidianità dell’esistenza, con la sua allegria e la sua insensatezza, per vedere come le gioie e le fatiche di ogni giorno possano fondersi “in una cosa sola che non è troppo distante dalla felicità”.

La storia che si racconta è quella di una grande famiglia normale, resa impossibile dall’aberrante eccezionalità della Storia. Per questo la voce calda e intima dell’autrice, con una sincerità capace di rispettare tutte le ferite, prova a inventarsi un lieto fine, «come se non fosse successo quello che è successo».

Elena Loewenthal (Torino, 1960) narratrice e studiosa di ebraistica. Ha tradotto e curato molti testi della tradizione ebraica e d’Israele. Tra i suoi saggi:
Un’aringa in Paradiso. Enciclopedia della risata ebraica (Baldini e Castoldi 1997), L’ebraismo spiegato ai miei figli (Bompiani 2002) e Scrivere di sé (Einaudi 2007). Ha inoltre pubblicato i romanzi Lo strappo nell’anima (Frassinelli 2002), Attese (Bompiani 2004) e Dimenticami (Bompiani 2006). Insegna Cultura ebraica alla facoltà di Filosofia dell’Università Vita e Salute San Raffaele di Milano e scrive sul quotidiano “La Stampa”.