Durban e l’intolleranza, parla Fiamma Nirenstein
“Quando in Parlamento ho visto accendersi tutte insieme le luci verdi della votazione non credevo ai miei occhi. E’ stato un gesto commovente e straordinario”. Fiamma Nirenstein ricorda così, tra emozione e orgoglio, il voto unanime che il 4 dicembre ha sancito l’approvazione della mozione bipartisan che impegna l’Italia a esercitare una serrata vigilanza in vista della prossima “Conferenza mondiale contro il razzismo, la discriminazione razziale, la xenofobia e l’intolleranza”, nota come Durban 2.
Prima firmataria dell’atto, sottoscritto da, Bocchino, Boniver, Guzzanti, Pianetta, Picchi, Ruben, Pistelli, Repetti, Corsini, Colombo, Mecacci, Malgieri, Mazzoni, Maran, La Malfa, Fiamma Nirenstein – oggi deputata Pdl e vicepresidente della commissione Esteri – chiude così un simbolico cerchio di partecipazione e d’impegno dalla parte d’Israele. Otto anni fa aveva vissuto infatti da giornalista la prima conferenza di Durban che mise in atto un vero e proprio processo politico nei confronti d’Israele con tanto d’inquietanti episodi antisemiti.
I suoi vibranti articoli sulla Stampa, in cui metteva in guardia l’opinione pubblica per la rinascita del terrorismo islamico che solo pochi mesi dopo doveva colpire le Torri gemelle e l’intolleranza nei confronti d’Israele, furono un richiamo forte per molte coscienze. Ed è proprio lei a predisporre oggi un importante strumento d’iniziativa contro l’intolleranza e la discriminazione. “L’Italia – dice – è il primo paese d’Europa a essersi impegnato a sorvegliare e intervenire perché la Durban 2 non divenga un’ulteriore occasione d’intolleranza o di discriminazione”.
Fiamma, come nasce questa mozione?
Nel 2001 a Durban, una delle città africane simbolo dell’apartheid, si mise in atto una strategia astuta e molto contagiosa che indicava Israele come stato razzista e colonialista, reo di attuare politiche di apartheid nei confronti dei palestinesi. Era un’operazione molto abile, volta a delegittimare lo Stato d’Israele sul piano morale, che riecheggiava le dichiarazioni dell’Onu del 1975. Furono parole d’ordine che ebbero molta presa sull’opinione pubblica occidentale. Tanto che il Tribunale internazionale condannò come razzista il recinto eretto da Israele in funzione difensiva dopo un migliaio di morti per attentati di estremisti palestinesi.
Allora tu eri inviata a Durban per la Stampa. Cosa ti è rimasto impresso di quei giorni?
Ricordo i cartelli dei manifestanti che recavano l’effigie di Bin Laden e di Arafat. Ricordo i discorsi contro Israele, applauditissimi, di leader colpevoli di gravissime violazioni dei diritti umani come Arafat o Fidel Castro o di un dittatore sanguinario come Mugabe. E mi tornano alla mente gli ebrei delle Ong cacciati dalle riunioni dalle altre Organizzazioni non governative e quelli con la kippah in testa inseguiti per strada.
Il rischio è che Durban 2 possa riprendere quest’approccio?
Non contento di Durban 1, l’Onu ci riprova e ha fissato per aprile una nuova convocazione allo scopo di verificare se le conclusioni definite allora sono state messe in atto. Per dare un’idea del clima, basti pensare che il compito di stilare i documenti preparatori è stato affidato a paesi violatori dei diritti umani quali la Libia, l’Iran o Cuba. Il rischio è dunque di trovarsi ancora di fronte a uno scenario molto dannoso. Non a caso Israele ha deciso non prendervi parte così come il Canada mentre altri stati hanno annunciato la possibilità di rinunciare a parteciparvi.
Da qui l’idea di un impegno preciso da parte dell’Italia.
Votando la mozione il Parlamento italiano ha computo all’unanimità un gesto che ritengo straordinario. Si è infatti impegnato a monitorare con grande attenzione gli esiti e gli orientamenti della conferenza e ad agire affinchè i documenti preparatori contengano solo l’intento di combattere il razzismo e la discriminazione senza alcun obiettivo di delegittimare Israele.
Pochi giorni il Presidnete della Comunità Ebraica di Roma Riccardo Pacifici e l’Unione giovani ebrei d’Italia hano lanciato un appello perché si conferisca la cittadinanza a Gilad Shalit come già accaduto in Francia. Il sindaco Alemanno ha subito aderito. Cosa ne pensi?
E’ una bella idea, anche se non dobbiamo dimenticare che Shalit è francese e che per l’Italia si tratterebbe di una situazione diversa. In ogni caso il nostro paese è già impegnato sulla questione. Proprio poche settimane fa siamo stati in Israele con un gruppo di 24 parlamentari per portare la nostra solidarietà agli abitanti di Sderot, vittima dei razzi lanciati da Gaza. In quell’occasione abbiamo consegnato alla famiglia Shalit una lettera da noi già consegnata alla Croce rossa internazionale perché si diano finalmente notizie sulla sorte di questo povero ragazzo.
L’impegno per Israele viene considerato la cifra distintiva del tuo lavoro. Sei d’accordo?
Potrei rispondere con il titolo di un mio libro di qualche anno fa: “Israele siamo noi”. Israele è una democrazia che si batte in un’area in cui le democrazie non esistono in una lotta che cerca di non danneggiare i civili e di non ledere i diritti umani. Salvare Israele dovrebbe essere il mandato di ogni persona democratica. E sarebbe così se l’opinione pubblica non fosse suggestionata da falsi pregiudizi alimentati anche da tanto giornalismo. La mia battaglia non si limita però a Israele. Da anni sono infatti impegnata contro la cultura dell’odio, contro l’intolleranza e le discriminazioni di ogni tipo, a favore della convivenza pacifica e dei diritti umani. In questo mi sento molto rafforzata dall’essere ebrea e dalla mia conoscenza d’Israele e del mondo: solo nell’identità c’è infatti la capacità d’essere universale.
Daniela Gross
ECCO LA MOZIONE APPROVATA E IL TESTO DELL’INTERVENTO ILLUSTRATIVO.
Mozione presentata dall’On. Fiamma Nirenstein discussa e votata in Aula all’unanimità il 4 dicembre
sulle iniziative in vista della preparazione della Conferenza mondiale contro il razzismo
la discriminazione razziale, la xenofobia e l’intolleranza, che si svolgerà a Ginevra nel mese di aprile 2009
La Camera,
premesso che:
la «Conferenza mondiale contro il razzismo, la discriminazione razziale, la xenofobia e l’intolleranza», svoltasi a Durban nel 2001 su iniziativa dell’Onu, secondo i firmatari del presente atto di indirizzo si trasformò in un processo politico contro lo Stato di Israele, chiamato, dal banco degli imputati, a rispondere ad accusatori che erano (e sono) per la gran parte regimi responsabili di politiche costituzionalmente fondate sul rifiuto del pluralismo culturale, sull’intolleranza religiosa e sulla persecuzione di ogni forma di dissenso e di «differenza» personale o civile;
in quell’occasione, la Conferenza Onu – incentrata, secondo i firmatari del presente atto di indirizzo, surrettiziamente, sul «caso Israele» fece dunque del razzismo il pretesto per rilanciare una campagna di linciaggio morale, politico e religioso del popolo ebraico e dello Stato d’Israele;
il clima della Conferenza di Durban venne quindi compromesso dall’atteggiamento discriminatorio di alcuni Stati e capi di governo (da Mugabe a Fidel Castro) e della maggior parte delle organizzazioni non governative (ONG) presenti: per questa ragione, gli Stati Uniti e Israele abbandonarono la Conferenza, nel corso della quale si verificarono numerosi episodi di natura antisemita, come la distribuzione ai partecipanti dei Protocolli dei Savi di Sion e l’esclusione di membri di ONG ebraiche da alcune sessioni del Forum delle ONG, che si svolgeva in concomitanza al vertice;
fino all’ultimo dei nove giorni della Conferenza, alcuni paesi tentarono di reiterare il precedente della Risoluzione 3379 approvata dall’Assemblea Generale ONU nel 1975 (e peraltro revocata, dallo stesso consesso, il 16 dicembre 1991) e di inserire nella Dichiarazione finale del vertice la formula «sionismo uguale a razzismo»; il tentativo venne infine scongiurato anche grazie alle pressioni dell’Unione Europea;
la prossima Conferenza mondiale contro il razzismo, la discriminazione razziale, la xenofobia e l’intolleranza, nota come «Durban II» o «Durban Review Conference», è programmata per l’aprile 2009, a Ginevra; il Comitato preparatorio è presieduto dalla Libia ed è composto da stati come Iran e Cuba. Osservando la preparazione, si evince che è alto il rischio che anche la prossima Conferenza contro il razzismo si trasformi in una conferenza razzista contro Israele;
verso la metà di ottobre, il Comitato preparatorio ha raccolto tutti i contributi nazionali in un documento di lavoro in vista della predisposizione del Documento finale della prossima Conferenza di Ginevra; nel testo si allude in modo tanto implicito quanto scoperto a Israele come a un’entità «straniera occupante la cui legge si basa sulla discriminazione razziale […] che costituisce una grave violazione dei diritti umani e del diritto umanitario, un nuovo modello di apartheid, un crimine contro l’umanità, una forma di genocidio e una seria minaccia alla pace e alla stabilità internazionale»; su questa base si «reitera la preoccupazione [dell’ONU] per la grave condizione del popolo palestinese soggetto all’occupazione straniera»; il fatto che i palestinesi siano l’unico popolo menzionato come oggetto di discriminazione prospetta una evidente continuità con la linea perseguita nella Conferenza di Durban;
se la discussione su razzismo e discriminazione continuerà a poggiare su premesse di questo genere, la «Durban Review Conference» diventerà di nuovo un accanito forum anti-israeliano. Quanto al tema del razzismo, è oltremodo errato il pregiudizio tipico del vertice del 2001, che ritroviamo nei documenti preparativi attuali, secondo i quali il razzismo, l’intolleranza e la schiavitù sono responsabilità esclusiva dell’Occidente. La storiografia qualificata corrente ha confermato che tali fenomeni hanno una ben più vasta e globale diffusione. Un’analisi sbagliata renderebbe impossibile contrastare le politiche di oppressione etnica, culturale e religiosa che negli ultimi decenni hanno insanguinato vaste aree del mondo, tra le quali oggi emerge, con sempre più allarmante chiarezza, la persecuzione violenta dei cristiani in molti paesi islamici e in larga parte del continente asiatico;
numerosi Paesi si sono già dimostrati consapevoli del rischio di replicare nel 2009 a Ginevra quanto avvenne nel 2001 a Durban: nello scorso gennaio il Canada, valutandone il processo preparatorio, ha annunciato tramite il proprio Ministro degli esteri e il Segretario di Stato per il multiculturalismo e l’identità canadese, che non parteciperà alla Conferenza di Ginevra; Israele ha dichiarato a sua volta che non parteciperà sotto la minaccia che la Conferenza si trasformi in una tribuna di propaganda antisemita. Il Congresso Americano ha adottato la Risoluzione 1361 (23 settembre) che impegna il Governo a «guidare un grande sforzo diplomatico […] per sconfiggere la campagna di alcuni membri dell’Organizzazione della Conferenza Islamica per distogliere la Review Conference dai problemi reali […], attaccando invece Israele, promuovendo l’antisemitismo e sovvertendo la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo». Il Presidente francese Sarkozy ha annunciato il ritiro dal percorso preparatorio se esso non abbandonerà la deriva anti-israeliana;
impegna il Governo:
a verificare con attenzione, assieme ai partners europei, gli esiti e gli orientamenti che emergono dal processo di preparazione della prossima «Conferenza mondiale contro il razzismo, la discriminazione razziale, la xenofobia e l’intolleranza»;
a intervenire in sede europea affinché venga scongiurato il rischio che la Conferenza si svolga su una piattaforma ispirata all’intolleranza e alla discriminazione etnica, culturale e religiosa;
ad agire perché i documenti preparatori contengano solo l’intento di combattere il razzismo e la discriminazione a qualsiasi latitudine e per qualsiasi motivo essa sì rappresenti e perché decada lo scopo non recondito della delegittimazione dello Stato d’Israele;
ad esercitare la massima vigilanza e ad agire concretamente affinché la Conferenza sia effettivamente volta a promuovere la lotta contro il razzismo e contro le discriminazioni di ogni genere, piuttosto che un pretestuoso palcoscenico per l’incitamento all’odio nei confronti di alcuni popoli, stati o minoranze etniche e religiose.
Nirenstein, Bocchino, Boniver, Guzzanti, Pianetta, Picchi, Ruben, Pistelli, Repetti, Corsini, Colombo, Mecacci, Malgieri, Mazzoni, Maran, La Malfa.
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Intervento in Aula :
Signor Presidente, Colleghi,
rischia di ripetersi oggi, a sette anni di distanza, un evento che ha portato grande disonore alla comunità internazionale rappresentata dall’ONU, e la mozione che ci accingiamo a discutere è intesa a salvare il senso del grande valore che appunto l’ONU, nato sulle ceneri della seconda guerra mondiale, dovrebbe dare alla lotta contro il razzismo. Invece durante la conferenza di Durban dell’agosto 2001 contro il razzismo, alla vigilia dell’11 settembre 2001, in Sud Africa si prefigurava ciò che sarebbe accaduto di lì a pochi giorni, ovvero l’attacco terroristico più letale e significativo che il mondo avesse mai visto, quello che purtroppo doveva aprire una nuova era.
A Durban le ONG invitate a fiancheggiare la conferenza dell’ONU contro il razzismo, marciavano in cortei che portavano il ritratto di Bin Laden, che maledivano l’America e ne bruciavano le bandiere, che proclamavano Israele stato di apartheid, i cui partecipanti inseguivano gli ebrei che osassero apparire con la kippà. Nelle varie sessioni della conferenza, Mugabe, Fidel Castro, Arafat, arringavano i delegati con accenti di disprezzo verso l’Occidente e di puro odio verso Israele. Dalle riunioni delle ONG, gli ebrei venivano cacciati a forza, documenti antisemiti dai toni inenarrabili inneggiavano alla guerra terrorista. Io li conservo, inondarono la conferenza e la stampa. Si distribuiva ai partecipanti i Protocolli dei Savi di Sion. Il fenomeno della schiavitù, da cui certo nessuna civilizzazione può dirsi aliena, veniva addossato alla sola società occidentale, con conseguenti deliri ideologici che faceva specie veder trattati da una tribuna internazionale così prestigiosa.
Io ho visto tutto questo di persona, e mi ricordo quando, sconsolate, Margherita Boniver, allora Sottosegretario agli Esteri con delega per i Diritti Umani ed io ci incontravamo nei corridoi del palazzo che ospitava la conferenza dell’ONU. Le pressioni dell’Unione Europea e i furiosi interventi del Canada, di Israele e degli USA impedirono che nel documento finale si inserisse la dichiarazione “sionismo uguale razzismo”, che solo dieci anni prima era stata cancellata dall’ONU per rimediare allo scempio del 1975.
Oggi siamo qui a cercare di impedire che quello scempio si ripeta identico nel prossimo mese di aprile a Ginevra, dove la seconda puntata di quella conferenza viene preparata esattamente con le stesse modalità di quello scandalo internazionale. Oltre all’Australia, alla Danimarca, al Canada, adesso i portavoce del presidente eletto americano Barack Obama hanno assicurato che gli USA non prenderanno parte a quella conferenza se si configurerà nei termini attuali; anche Hillary Clinton promise in campagna elettorale che gli USA saranno in testa alla campagna di boicottaggio della conferenza. Israele ha già dichiarato che stavolta non cadrà nella trappola. Infatti questa conferenza che dovrebbe essere contro il razzismo e “verificare i progressi” fatti dal 2001, sta preparando, sulla base del lavoro di un Bureau preparatorio presieduto dalla Libia e composto da stati come Iran e Cuba, violatori sistematici dei diritti umani, il documento che costituirà la base dei lavori della conferenza di Ginevra. L’ultima bozza di tale documento, pubblicata di recente, si riferisce a Israele come a un’entità “straniera occupante la cui legge si basa sulla discriminazione razziale […] che costituisce un nuovo modello di apartheid, un crimine contro l’umanità una forma di genocidio e una seria minaccia alla pace e alla stabilità internazionale”. I palestinesi sono l’unico popolo menzionato come oggetto di discriminazione e viene invocato il diritto al ritorno. I documenti, piuttosto di occuparsi della cultura dell’odio e del suo carattere discriminante nei confronti di svariate minoranze etniche e religiose, si riferiscono invece esclusivamente ai problemi derivanti dall’identificazione dell’islamismo col terrore e dei pregiudizi da cui la società occidentale sarebbe inondata su questo tema. Non sono citati i continui attacchi religiosi ai cristiani nei Paesi mussulmani, ma solo “il monitoraggio e la sorveglianza dei luoghi di culto dei centri di cultura e di insegnamento dell’Islam” e quando si ricorda quasi incidentalmente l’antisemitismo e la cristianofobia, si invita invece a fare “particolare attenzione” all’islamofobia. La conferenza contro il razzismo viene di nuovo dunque impostata su un terreno prefabbricato, pieno di bias e di cultura dell’odio. I nostri partner europei, Francia, Inghilterra, Olanda e Danimarca, dopo la pubblicazione dell’ultima bozza del documento preparatorio, stanno fissando delle linee rosse che se non tenute in considerazione porteranno all’abbandono del processo di Durban. L’Italia, dal suo onorato ruolo nell’ONU e nel Consiglio per i Diritti Umani nel 2010, ha i mezzi per monitorare nelle sedi competenti il processo preparatorio della prossima conferenza.
Sono sessanta anni in questi giorni dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo. Oggi, l’accoglimento della mozione in esame rappresenterebbe un omaggio a questo documento fondante della nostra società democratica e una semplice ma ben motivata difesa dell’onore della comunità internazionale, dell’onore che l’ONU abbandona soggiacendo alla forza delle nazioni e delle forze totalitarie e nemiche dei diritti umani, troppo spesso dimentico di se stesso, anche di fronte a un pericolo che è quello ben chiaro e ben presente del diffondersi della cultura dell’odio e quindi della guerra di religione, che porta al terrorismo internazionale e al disprezzo della democrazia.