Stalin e la nascita dello Stato di Israele. I molti fattori che hanno condizionato la Storia

“A volte il lavoro di un giornalista, e perfino quello di un giornalista televisivo, riesce a colmare anche le lacune dello storico. Accade soprattutto quando gli studiosi danno per scontato e accantonato un dato evidente per il tempo in cui vivono. Succede poi che quell’evidenza si stemperi negli avvenimenti successivi, fino a scomparire dalla memoria comune e dai manuali” Sono le parole con cui Enrico Mentana apre la sua introduzione al volume Perché Stalin creò Israele (Sandro Teti editore, (212 p., 17,00) un libro di Leonid Mlečin, giornalista televisivo russo, già vicedirettore del quotidiano “Izvestija”.

Il libro di Mlečin consente di ricostruire ampiamente una linea politica che spesso è stata spiegata come scelta tattica, come schieramento estemporaneo in relazione a un vuoto che le potenze occidentali avrebbero improvvisamente determinato in base alle loro scelte di convenienza: da una parte l’Inghilterra cosciente della fine del proprio Impero, ma interessata a mantenere un rapporto di buon vicinato con i regimi dei nascenti Stati arabi; dall’altra gli Stati Uniti maggiormente impegnati verso una politica di pacificazione che non a una di schieramento. In quel vuoto, a un certo punto si inserisce l’Unione sovietica staliniana e la decisione di Stalin di appoggiare espressamente e esplicitamente il progetto di spartizione che consentiva a Israele di nascere come Stato autonomo.
Come spiega Luciano Canfora nella sua presentazione e come ampiamente racconta Mlečin quella decisione si colloca lungo una linea che risponde ai dettami di una politica estera e al tentativo di entrare nel quadro mediorientale. E tuttavia anche se una parte consistente di quella scelta che matura esplicitamente e pubblicamente tra la seconda metà del 1946 e il 1947 e che porta poi al volto del 29 novembre 1947 che sancisce la spartizione, risponde a interessi di politica internazionale e si manifesta contemporaneamente a l restringimento nei confronti della minoranza ebraica in Urss delle sue posizioni sociali e anche politiche all’interno del sistema, non tutto è spiegabile con quel criterio.
Mlecin ricostruisce una politica economica, di collaborazione, di scambi economici e culturali, di sistema di import-export che non risponde solo a interessi commerciali o di presenza sul territorio. E’ un sistema che si delinea in maniera incerta e molto episodica già nei primi anni ’20, che poi si eclissa per circa venti anni per riemergere all’inizio degli anni ’40 e progredire tra 1941 e 1948 sistematicamente. Attraverso rapporti diplomatici, politici, economici e commerciali costanti.
Conta in questa scelta la necessità di trovare uno sbocco mediterraneo; di avere un sistema confinario non nemico. Ma conta anche una classe politica con cui si avvisano affinità. E infine conta la non concorrenza delle potenze occidentali.
Israele nasce per un incrocio di cause. Perché si produca una realtà politica in cui economia e società s’incontrino, è necessario che coesistano molti elementi. Occorre che si dia una statualità amministrativa; si costituisca un diritto di rappresentanza parlamentare a suffragio più o meno ristretto e che si definisca anche un ethos rispettivamente: di separazione tra società civile e Stato, di laicizzazione, di regole e di garanzie associative.
In forme ancora non compiute, ma certamente individuate la realtà sociale della presenza ebraica nella Palestina mandataria si era mossa tra anni ’20 e anni ’40 in questa direzione. Nel momento in cui le Nazioni Unite il 29 novembre 1947 votano la spartizione della Palestina questa era la condizione del gruppo ebraico-palestinese. Dunque: quel soggetto politico che il 15 maggio 1948 diventa Israele aveva gli uomini, le strutture e l’articolato politico, sociale, amministrativo capace di mettere in piedi uno Stato e presumibilmente di renderlo un soggetto politico durevole nel tempo.
C’era una condizione esterna, c’era l’orrore della Shoah, ma soprattutto l’insediamento ebraico in Palestina aveva prodotto, attraverso un processo selettivo anche conflittuale interno, un corpo politico in grado di dare figura ad uno Stato. Per questo nel 1948 la nascita dello Stato di Israele è stata possibile. Era una scommessa, ma è stato possibile.

Ma nel voto del 29 novembre 1947 convergevano anche altre cause e altre forze. Le condizioni sociali o amministrative interne per quanto necessarie non era sufficienti. Occorreva anche una strategia politica, una tattica, un’idea di schieramento nel sistema delle relazioni internazionali. Insomma il problema non era solo chi si era, ma anche dove ci si collocava. Israele nasce anche perché, e non improvvisamente o congiunturalmente nell’autunno 1947, si stabiliscono intese con l’Unione sovietica. Intese che hanno una storia anche lunga in una lenta marcia di avvicinamento sia da parte del gruppo dirigente dell’Yishuv sia da parte sovietica.
Quando orgogliosamente Gromyko – nel 1947 ambasciatore all’Onu – ripeterà ancora negli anni ’80 indicando la sua mano destra “È con questa che quarant’anni fa votai all’Onu a favore della nascita di Israele”, ricorda una condizione che probabilmente non voleva essere momentanea o congiunturale. Le scelte politiche di tutti gli attori politici (a cominciare dagli Stati Uniti allora tiepidi per non dire contrariati dall’ipotesi della spartizione e dall’Unione sovietica con le sue politiche persecutorie nei confronti degli ebrei russi, già nel 1950) successivamente cambiarono radicalmente e oggi forse ricordare che ci furono un tempo una politica sovietica filoisraeliana e una politica israeliana non così insensibile nei confronti dell’Urss, suscita curiosità, forse anche stupore.
Israele ha Stalin tra i suoi sostenitori iniziali – anche prima del voto sulla spartizione. Anzi in quel gioco diplomatico tra molti incerti e molti indifferenti , Stalin non solo fu una figura centrale, ma persino determinante. Una scelta che per molti aspetti può apparire oscura, sorprendente e perfino contorta o “contro natura”, ma che dice che nella storia contano molte cose e che niente è scritto fin dall’inizio.

David Bidussa