Adattabile, elastico razzismo

Tra l’estate e l’autunno del 1938 il governo Mussolini vara le “leggi razziali”, cominciando con i Provvedimenti per la difesa della razza nella scuola fascista firmati dal re il 5 settembre. Nei mesi successivi si passa alle norme che escludono i bambini ebrei dalle scuole e che…

Tra l’estate e l’autunno del 1938 il governo Mussolini vara le “leggi razziali”, cominciando con i Provvedimenti per la difesa della razza nella scuola fascista firmati dal re il 5 settembre. Nei mesi successivi si passa alle norme che escludono i bambini ebrei dalle scuole e che vietano agli ebrei l’esercizio di attività professionali.
La parola razzismo, negli ultimi tempi, era stata messa da parte, sostituita da altre come paura e insicurezza. È bene che oggi ritorni Certo molti sono pienamente consapevoli di ciò che il termine evoca, ma parlarne sembrava una cosa fuori del tempo. C’è un documento dell’Unione Europea (Report of Racism and Xenophobia in the Member Countries, 2007) in cui si fa il punto, nei diversi contesti nazionali, sulla disponibilità di dati, sulle iniziative istituzionali, sulle buone pratiche in questo ambito. L’Italia risulta assente per quasi tutte le voci rilevate. Oggi, fatti di cronaca e dati elettorali sollecitano a interrogarsi di nuovo sul razzismo. Bisogna chiedersi, senza frettolose semplificazioni, come funzionano i meccanismi del permanere sotterraneo e poi del riemergere, appunto, del fenomeno. Una questione mi sembra vada messa bene in luce: al centro delle analisi e del dibattito politico in questi anni ci sono loro, gli immigrati, gli stranieri, gli altri. Dicendo razzismo l’attenzione viene invece rivolta a noi (italiani, europei). Recurring racisms è una formulazione che ho incontrato di recente e che ci riguarda.
Come sfondo, rispetto ai processi specifici che raggruppiamo parlando di razzismo e di immigrazione, va collocato il quadro che Saskia Sassen presenta nel suo Sociologia della globalizzazione (pp. 304, euro 21,50, Einaudi, Torino 2008): la mobilità delle popolazioni e le ricadute delle innovazioni tecnologiche, i processi che generano, secondo Zygmunt Bauman, paura. Studi recenti di Ash Amin, docente dell’università di Durham, analizzano come il razzismo permanga nel tempo in uno stato di latenza, e al momento opportuno riemerga anche con l’introduzione di variazioni ed elementi nuovi, il punto cruciale è questo: pensiero e pratiche del razzismo sono resilenti (adattabili, capaci di modificarsi, elastici); lasciano eredità che si ripropongono, e in qualche modo si trasmettono. Un evento come lo shock dell’11 settembre, o la crisi economica, può, secondo Amin, riaprire una fase cli emergenza. Siamo oggi, dunque, in uno “stato di allerta”. Un altro contributo utile è il libro di Pierre Tevanian, La République du mépiis, (La Decouverte, Paris 2007) che insiste, tra gli altri temi, sulla “doubk peine” principio che consente di punire, per gli stessi comportamenti o reati, uno straniero più di un francese. Due pesi e due misure. Tevanian osserva che questo criterio non è presente soltanto nel sistema giuridico ma è diventato una struttura mentale diffusa e radicata. Ci siamo abituati a generalizzare (qualunque comportamento di un non-bianco o di un arabo-musulmano diventa un fenomeno rappresentativo di tendenze, o colpe, da attribuirsi a tutti i non-bianchi o musulmani); ed è accettato che si definiscano “livelli di colpevolezza” – e sanzioni – differenti. Un meccanismo messo a punto in diversi paesi europei, e che in Italia è stato introdotto con le norme che prevedono, nei casi di infrazioni e reati, l”‘aggravante dello stato di clandestinità”.
Dovremmo affrontare questo tema del razzismo che rimane e ritorna, ed è un tratto forse ineliminabile del vivere sociale, con la stessa impietosa lucidità con cui James Hillman ha analizzato il permanere, nella storia dell’umanità, del “terribile amore per la guerra”.

Laura Balbo – L’Indice – gennaio 2009