Haiti – Gli ebrei dell’isola non perdono la fede e offrono aiuto
Ogni anno, a Yom Kippour, Rudolph Dana si rinchiude nella sua casa di Pétionville, Haiti, protetto da cani e guardie di sicurezza e passa il Giorno dell’Espiazione digiunando, pregando e recitando la tradizionale liturgia del pentimento e del perdono.
Fino a circa 10 anni fa, la piccola comunità Ebraica di Haiti si sarebbe radunata per lo Yom Kippour in una casa privata e avrebbe pregato seguendo la videoregistrazione della celebrazione dello Yom Kippour che il cognato di Dana, un cantore nel New Jersey, avrebbe spedito loro.
Negli ultimi anni, purtroppo, la comunità è diventata così piccola e frammentata da rendere difficili persino riunioni così modeste.
Quando il catastrofico terremoto ha colpito Haiti lo scorso 12 Gennaio, Dana si trovava a Miami per affari. Da allora – il terremoto ha raso al suolo quasi tutta Port-au-Prince e le zone limitrofe, inclusa Pétionville – Dana, 61 anni, proprietario di un’azienda che distribuisce gas propano, è stato al telefono e su Internet tutto il tempo, cercando di contattare gli amici e i circa 500 dipendenti.
Quasi tutti quelli che lavorano per lui sono sopravvissuti al terremoto, ma in molti hanno perso qualcuno. Dana dice che centinaia di amici e conoscenti sono morti nel disastro: “Alcuni erano al supermarket, altri nelle scuole, altri ancora all’Università e qualcuno nelle banche” ci dice.
Quelli che si sono salvati, sono, in maggioranza, senza tetto. Le loro case sono state completamente distrutte oppure, come quella di Dana, hanno subito gravi danni strutturali, e sono adesso inagibili. I più fortunati tra gli Haitiani vivono in macchina, mentre i meno fortunati dormono fuori sopra dei teloni, conferma Dana.
“Tutti gli hotel e le chiese, quei luoghi dove le persone avrebbero potuto trovare rifugio sono stati distrutti”, dice. “Non è che un edificio è rimasto in piedi mentre gli altri sono in rovina: sono tutti crollati o stanno per esserlo da un momento all’altro. La città non esiste più”.
È stato in contatto, attraverso il telefono satellitare del suo ufficio di Port-au-Prince, con molti dei suoi impiegati, che sono riusciti a mettere su una sorta di ufficio, appena fuori l’edificio, ormai danneggiato, che ospitava la sua compagnia.
In questi giorni, però, gli impiegati non si occupano di gas ma della distribuzione di riso, fagioli e olio da cucina. Dana dice che è riuscito, attraverso i suoi contatti di lavoro, ad organizzare una spedizione di generi alimentari e che la sua azienda ha distribuito pasti caldi – cucinati su fuoco a legna – a circa 300 persone accampate vicino ai giardini della compagnia.
Dana ammette di non sapere quando tornerà nel paese dove i suoi nonni si stabilirono all’inizio del XX secolo, e dove è nato e ha vissuto per gran parte della sua vita.
Le profonde radici Haitiane di Dana sono parte della storia della Comunità Ebraica dell’isola.
Nel 1492, Luis de Torres, l’interprete di Cristoforo Colombo, fu il primo Ebreo, a nostra conoscenza, a mettere piede sull’isola che è adesso Haiti.
Immigrati Brasiliani di origine Ebraica si stabilirono qui nel XVIImo secolo; molti morirono nella rivolte degli schiavi all’inizio del XIXmo secolo che si conclusero con l’indipendenza di Haiti dalla Francia.
Poi, tra la fine del XIXmo secolo e l’inizio del XXmo secolo, fu la volta di una piccola onda migratoria di ebrei provenienti dal Libano, la Siria e l’Egitto, da dove vennero i nonni di Dana.
Molti di questi ebrei Mediorientali si guadagnavano da vivere importando e vendendo tessuti e mandavano i figli alle locali scuole Cattoliche.
Agli ebrei dell’isola si unirono, durante gli anni 30’, circa 100 ebrei Europei in fuga dai Nazisti.
La comunità Ebraica di Haiti raggiunse il suo apice nella metà del secolo scorso con circa 300 membri.
Di seguito, molti lasciarono Haiti per raggiungere comunità Ebraiche più grandi e importanti negli Stati Uniti, Argentina e Panama.
Inoltre, gli archeologi hanno trovato tracce di una comunità di Cripto Giudei, o Marrani, una volta esistente nella città di Jérémie, a ovest dell’isola.
Durante gli anni ‘40 e ‘50, gli ebrei cresciuti a Port-au-Prince e dintorni, ricordano che la Comunità importava matzah per Pessach e riuniva tra le 50 e le 60 persone per la celebrazione delle Feste. “Le celebrazioni si tenevano in una delle case più grandi: gli uomini sedevano davanti mentre le donne dietro”, ricorda Vivianne Esses, 76 anni, che ha vissuto con la sua famiglia a Pétionville fino all’età di 13 anni, prima di spostarsi a Bogotà in Colombia e da lì a Brooklyn, NY.
Marie Mizrahi è cresciuta nella Jérémie degli anni 40’ e 50’ e la sua era una delle due famiglie Ebraiche presenti in città. Anche se lei e i suoi non erano particolarmente religiosi, riuscirono a conservare le tradizioni Ebraiche. “Mangiavamo pollo e vitello ma mai maiale o frutti di mare”, dice. “Ho cinque fratelli e furono tutti circoncisi”.
Sia gli Esses che i Mizrachi ricordano con piacere la dolcezza del mango, di cui Haiti è un grande esportatore.
Oggi Haiti – un paese di 9 milioni di abitanti, dove le religioni principali sono il Cattolicesimo e il Vudu – ha circa 25 ebrei. La maggior parte vive a Pétionville, una ricca enclave situata sulle colline che guardano su Port-au-Prince.
Alcuni degli ebrei del Paese sono tra i più ricchi residenti dell’isola nazione, dove l’80% della popolazione vive in povertà.
Haiti non ha un rabbino né tanto meno una sinagoga. Dana non ricorda l’ultimo minyan composto da ebrei locali. C’è un Sefer Torah, custodito a casa del cugino di Dana, Gilbert Bigio, il magnate con interessi nell’acciaio, le telecomunicazioni, le banche, il petrolio e l’alimentare.
Uno dei cittadini più ricchi di Haiti e il de facto capo della Comunità Ebraica dell’isola, Bigio è il proprietario della terra sulla quale Israele ha piantato l’ospedale da campo, secondo Amos Radian, ambasciatore d’Israele nella Repubblica Dominicana con competenza sui Paesi occidentali dell’arcipelago dei Caraibi.
Radian dice di essere arrivato ad Haiti circa 16 ore dopo il terremoto e, dopo aver incontrato il Presidente Haitiano René Préval, ha iniziato a cercare Reuven Bigio. Gilbert Bigio, che è il console onorario d’Israele in Haiti, era in Florida al momento del terremoto. L’ambasciatore aveva ricevuto notizia che la famiglia Bigio si era salvata dal terremoto. Ma siccome tutte le forme di comunicazione elettronica erano fuori uso, ha impiegato un giorno per trovarlo.
Radian, parlando al Forward dall’ospedale da campo dell’IDF, dice che la famiglia Bigio è stata la chiave del nostro successo nell’aprire l’ospedale solo poche ore dopo l’arrivo della squadra di soccorso Israeliana il 15 di Gennaio.
Haiti e Israele hanno relazioni diplomatiche. Radian dice che, durante gli anni 60’ e 70’, ad Haiti, l’organizzazione per lo sviluppo internazionale Israeliana Mashav era impegnata nella creazione di “fattorie speciali” e nell’insegnamento delle pratiche di agricoltura sostenibile, come l’uso dell’irrigazione a goccia e delle serre.
Kenneth Ades, 41 anni, un Ebreo che ha vissuto ad Haiti da bambino, dice che suo padre, scrittore e uomo d’affari che ha vissuto a Pétionville fino alla sua morte nel 2005, aveva un piano per migliorare l’agricoltura di Haiti, il sistema legale e le infrastrutture in generale.
“Era molto patriottico” dice Ades che vive a New York. “Aveva un piano per Haiti: diceva che sarebbe costato $6 miliardi di dollari”.
Questo prima del terremoto.
Gabrielle Birkner, The Forward
Versione italiana di Rocco Giansante