Haiti – La solidarietà di israele, un bilancio sulla missione
Sono già passate due settimane dal terribile terremoto che ha colpito Haiti e che ha lasciato il piccolo paese caraibico in ginocchio. È ancora prematuro per fare stime precise sul numero delle vittime, ma qualsiasi previsione, persino la più ottimistica, parla di un disastro di dimensioni spaventose.
Già dalle prime ore dopo il terremoto, la comunità internazionale si è mossa per portare il proprio aiuto alla popolazione haitiana. Tra i primi paesi ad agire in questa direzione è stato Israele, che in poche ore è stato in grado di mobilitare gli specialisti dei Corpi Medici delle IDF e, con la collaborazione del Ministero degli Esteri e dell’El Al, portare la propria squadra di soccorritori appena due giorni dopo il terremoto. Dimostrando come la solidarietà israeliana possa superare le divisioni politiche internazionali e raggiungere ogni parte del globo quando si tratta di salvare vite umane.
L’équipe israeliana è cresciuta fino a contare oltre 200 persone tra medici, infermieri e altro personale specializzato in questo tipo di operazioni. A poche ore dal loro arrivo, alla periferia di Port-au-Prince era già attivo un efficiente ospedale da campo, dotato delle più moderne attrezzature, il primo nel suo genere che la comunità internazionale sia riuscita a stabilire nella zona del disastro. Il contributo di Israele alle operazioni di soccorso è stato quindi fondamentale, non solo l’ospedale montato dalle IDF è stato il primo a essere funzionante ma la qualità del personale e delle attrezzature presenti lo ha reso per molti giorni un punto di riferimento per tutta la comunità di soccorritori accorsi nell’isola e un fondamentale aiuto per le vittime del terremoto. In poco più di una settimana l’ospedale da campo israeliano ha trattato, operato e curato più di mille persone, quasi un centinaio al giorno. Inoltre le squadre di soccorritori delle IDF hanno tratto in salvo numerose vittime rimaste intrappolate sotto le macerie.
Haitiani e giornalisti stranieri nell’isola sono rimasti sorpresi di fronte a tanta efficienza. Dando la notizia la corrispondente della CNN Elizabeth Cohen si è dichiarata stupefatta di come Israele abbia potuto, in poche ore, trasportare attrezzature migliori degli stessi Stati Uniti, pur essendo un paese piccolo e lontano migliaia di chilometri. Non solo in America la stampa ha prestato particolare attenzione al ruolo svolto dai soccorritori israeliani, anche in Europa e in Italia i media hanno dato spazio alla notizia, portando un’ondata di simpatia verso Israele che non si registrava da molto tempo.
A quasi due settimane di distanza dal terribile terremoto è sempre più difficile trovare persone ancora vive sotto le macerie e le urgenze mediche stanno diminuendo col passare delle ore. I soccorritori internazionali giunti da ogni parte del mondo a Haiti si preparano ora alla nuova fase dell’operazione, dopo l’emergenza iniziale, quella della ricostruzione. Alla luce di questi fatti il maggiore generale Yair Golan, del Comando Fronte Interno, ha dichiarato che, a partire da giovedì (domani), la missione di soccorso israeliana comincerà a rientrare. Il Comando delle IDF e i Corpi Medici si stanno già preparando alla smobilitazione.
Il generale di brigata delle riserve Shalom Ben-Aryeh, che ha brillantemente coordinato le operazioni a Haiti, ora prepara i suoi uomini al rientro. Le IDF hanno fatto sapere anche che, come ulteriore gesto di solidarietà, saranno gli uomini a rientrare, mentre i macchinari sanitari, medicinali e altre attrezzature verranno lasciate sul posto di modo che la popolazione civile ne possa godere anche dopo che gli israeliani saranno rientrati a casa.
Il bilancio della missione israeliana di aiuto internazionale non può che essere più che positiva, i dati già citati parlano da sé. Inoltre la missione ha generato uno straordinario feedback positivo dall’opinione pubblica internazionale. Steve Rabinowitz, un consulente di comunicazione ha definito l’effetto portato da queste notizie come uno dei maggiori risultati mai ottenuti da Israele nel campo della comunicazione. Molti in Israele e negli Stati Uniti hanno apprezzato questo ritorno d’immagine, considerando anche quanto emerge dal Rapporto Goldstone che critica duramente la gestione del conflitto a Gaza del 2008 e che getta molte ombre sulla reputazione dello Stato ebraico. È però bene ricordare quanto afferma il generale Golan: “la nostra gente è andata a Haiti per salvare vite umane, dare le migliori cure mediche possibili e rappresentare Israele. Questo è il corretto ordine delle priorità. Non pensano costantemente alla bandiera bianca e blu che sventola sopra le loro teste”.
Tuttavia, mentre la stampa mondiale loda la capacità di azione e di soccorso internazionale dello Stato ebraico, in Eretz Israel non mancano i dubbi e qualche voce critica.
Akiva Eldar ha scritto una pesante critica sulle colonne di Haaretz confrontando l’impegno israeliano a Haiti, ma anche ad altre operazioni simili in Kenya e nel Sud-Est asiatico dopo lo Tsunami del 2004, con la situazione di Gaza. Non serve andare tanto lontano per trovare una popolazione in assoluto stato di necessità umanitaria e sanitaria. Scrive Eldar: “La giusta identificazione con le vittime della terribile tragedia nella distante Haiti non fa altro che rilevare l’indifferenza dell’attuale sofferenza del popolo di Gaza”. Gli fa eco sul Jerusalem Post Larry Darfner sostenendo che è l’azione svolta a Haiti che rende così terribile la situazione a Gaza, perché rende evidente la cecità israeliana di fronte alla tragedia che si svolge a pochi chilometri da casa.
Nella Striscia risiedono 1,5 milioni di persone, l’80% delle quali vive sotto la soglia di povertà, l’economia si fonda in gran parte, oltre che sul mercato nero, sugli aiuti umanitari internazionali, che Israele spesso trattiene alle frontiere. Sulla base di queste considerazioni Darfner afferma che se l’ospedale da campo israeliano a Port-au-Prince è un riflesso del carattere nazionale allora lo è anche la difficile condizione di Gaza.
Sarebbe certamente un errore paragonare, superficialmente, le due situazioni: Haiti è stata colpita da un disastro naturale mentre il disastro di Gaza è la conseguenza di una guerra. Da Haiti non sono mai partiti missili Qassam per colpire civili israeliani e anzi nel 1947 fu uno dei paesi che votò a favore della risoluzione ONU 181, che prevedeva la spartizione del Mandato Britannico in Palestina e quindi la creazione di uno Stato ebraico. Né si può dimenticare che Hamas proprio a Gaza ha la sua roccaforte.
Tuttavia finché Israele prosegue nella politica del blocco e della chiusura di Gaza qualsiasi azione, seppur brillante ed efficace, non riuscirà a nascondere la situazione della Striscia, al contrario sarà Gaza a minimizzare ogni sforzo israeliano in altri ambiti. Come dice Uri Dromi “c’è una discrasia profonda tra quello che potremmo fare in molti campi e il senso di fallimento in cui siamo intrappolati sulla questione palestinese”. Il mondo tende a vedere Israele solo con le lenti del conflitto con i palestinesi, una situazione che non manca di generare un certo sconforto nell’opinione pubblica israeliana. C’è un senso di frustrazione nella sorpresa che Israele ha provocato nell’opinione pubblica internazionale così abituata a criticare duramente lo Stato ebraico. Una leggera amarezza per la consapevolezza di quello che Israele potrebbe fare su molti livelli in campo culturale, scientifico ed anche umanitario. Una coscienza diffusa che questa ondata di simpatia sarà solo temporanea.
Ai molti israeliani che si chiedono perché il loro paese non possa essere considerato una nazione normale, che affronta giornalmente sfide enormi se paragonate alla sua dimensione geografica, economica e demografica, una nazione che certamente può e vuole fare di più, Haiti ha dato risposte positive. Allo stesso tempo però ha risollevato una profonda contraddizione che pone, per paragone, la spinosa questione della politica israeliana a Gaza che non può essere messa in secondo piano né dimenticata.
Pablo Chiesa