Israele sogna la prima medaglia alle Olimpiadi invernali
Qualche anno fa suscitò grande stupore e simpatia la presenza di una squadra giamaicana di bob ai Giochi Olimpici invernali di Calgary. Dai soleggiati tropici ai pendii innevati: molti appassionati parteggiarono istintivamente per i compatrioti di Bob Marley, che sembravano pesci fuor d’acqua nel rigido clima canadese. Il risultato agonistico non fu eccezionale – anzi piuttosto scadente – ma non era certo quello il senso della loro partecipazione. I reggaey boyz volevano infatti dimostrare che “se puoi pensarlo puoi farlo”, slogan in seguito ripreso dalla Fiat, che nel 1996 coinvolse i simpatici pionieri dello sport giamaicano in uno spot commerciale per la vettura Duplo. Ed è con lo stesso spirito degli scanzonati caraibici, ma con qualche ambizione in più, che è partita alla volta di Vancouver la minispedizione israeliana (tre soli atleti), che nei prossimi giorni si appresta a dar battaglia alle Olimpiadi in programma dal 12 al 28 febbraio tra i monti della Columbia britannica.
L’importante non è vincere ma partecipare, diceva il barone di Coubertin. Efraim Zinger, segretario del comitato olimpico con la stella di David, è d’accordo ma non nasconde di avere un grande sogno: “È giunto il momento di vincere qualcosa”. Già perché fino ad oggi nessun israeliano è mai riuscito a salire sul podio nei Giochi d’inverno. Solo illusioni, quelle di Zinger? Non è detta, almeno una medaglia potrebbe essere finalmente alla portata. Le speranze sono riposte, in particolare, nei due pattinatori Roman e Alexandra Zaretsky, classificatisi in settima posizione agli ultimi campionati europei e alla loro seconda esperienza olimpica (a Torino 2006 arrivarono ventiduesimi). Meglio invece non fare troppo affidamento sullo sciatore Mikail Renzhin, i cui modesti risultati in Coppa del Mondo lasciano poco spazio a velleità di podio. Ci sarebbe dovuta essere anche una quarta atleta, ma la skater Tamar Katz, pur essendosi qualificata per Vancouver, non ha raggiunto gli standard minimi richiesti dalla federazione israeliana.
Anche se non arriverà la tanto ambita prima medaglia, andrà comunque apprezzata la tenacia di una federazione che da Lillehammer 1994 in poi è sempre riuscita a mettere insieme una squadra più o meno competitiva. Davvero una bella sfida, perché in tutta Israele esistono una sola pista di pattinaggio e una sola pista da sci regolamentari. Senza dimenticare che non è ovviamente scontato che in un paese dal clima mediterraneo, in cui gli sport invernali hanno poco seguito (e logicamente pochissimi finanziatori), qualcuno lavori notte e giorno per raggiungere questo risultato. C’è poi un ulteriore ostacolo, oltre al clima, che non aiuta a far appassionare gli israeliani a racchette e pattini: sia i fratelli Zaretsky che Renzhin passano molto più tempo negli Stati Uniti, dove hanno preso la residenza, che dalle parti di Gerusalemme e Tel Aviv.
Zinger, però, giura sul loro attaccamento alla patria e, in ogni caso, pensa che non sia un grosso problema in quale paese vivano. Quello che conta, dice, sono solo i risultati. D’altronde, gli israeliani, prima di appassionarsi a sport che non fossero calcio e basket hanno avuto bisogno di tempo e di successi. Come quello di Gal Fridman ad Atene 2004, primo oro olimpico (nei Giochi estivi le cose vanno sicuramente meglio) nella storia di questa giovane nazione. Da quella affermazione in terra greca, infatti, il windsurf non è più considerato esclusivamente un divertimento agostano ma anche una disciplina in cui cercare di primeggiare.
I fratelli Zaretsky hanno in testa un solo obiettivo: fare meglio di Galit Chait e Sergei Sakhnovski, che otto anni fa ottennero la sesta piazza nel pattinaggio artistico. E se non ci riusciranno, pazienza: avranno in ogni caso conquistato la medaglia della simpatia.
Adam Smulevich