Il nodo di Gaza – Turchia, un alleato ai ferri corti

Cinque anni fa il primo ministro turco Recep Tayyip Erdoğan visitava Israele e stringeva la mano all’allora capo di governo israeliano Ariel Sharon. Ieri lo stesso Erdoğan dichiarava “Israele, se non cambia mentalità, perderà il suo amico più importante nella regione”. In una decina d’anni Gerusalemme e Ankara sono passati da un’alleanza duratura e proficua a una ostilità aperta con sgarbi e accuse reciproche. Fino a lunedì. Quando le parole hanno lasciato il posto ai fatti: l’incidente della Freedom Flottilla ha segnato la rottura definitiva, o quasi, fra i due paesi. “La Turchia non potrà mai dimenticare un simile attacco alle sue navi e alla sua gente in acque internazionali. Il legame tra Turchia e Israele non sarà mai più lo stesso” sosteneva ieri il presidente turco Abdullah Gul mentre una folla di diecimila persone accompagnava le salme degli attivisti della nave Mavi Marmara. Molti dimostranti urlavano “Abbasso Israele”, “Israele assassina” o “siamo soldati di Hamas”. L’ultimo slogan è uno dei punti cruciali del nuovo scenario che si sta aprendo in Medio Oriente ovvero la sempre più stretta connessione tra governo e popolo turco e la causa palestinese. “La politica estera di questo paese (la Turchia) è stata ri-progettata solo per il gusto di mantenere i voti di un gruppo di persone che tengono in casa le bandiere palestinesi piuttosto che quelle turche” è la dura critica di Oray Egin, editorialista per il giornale turco Aksam. Sul The National di Abu Dhabi Emile Hokayem, redattore politico del quotidiano, scrive “lo scontro fatale di lunedì ha trasformato la Turchia nel primo campione della causa palestinese. I leader turchi hanno più credibilità, presso la piazza araba, degli stessi leader palestinesi, ritenuti deboli e fiacchi”. Hokayem si sofferma poi sulla nuova solidarietà che sarebbe nata tra il popolo turco e quello palestinese “i turchi sono ora impegnati a seppellire i loro morti, che si sono aggiunti, nella mente degli arabi e degli stessi turchi, alla lunga lista di martiri palestinesi. Questo vincolo simbolico con la Palestina non sarà infranto molto presto, e rappresenta un vantaggio politico considerevole per i politici che vogliono rompere le relazioni con Israele”.
Dello stesso parere Abdullah Iskandar, opinionista del giornale arabo Dar Al Hayat, che parla in termini più drammatici di “martirio di civili turchi in nome del dovere di solidarietà con il popolo palestinese” e poi aggiunge “la Turchia è entrata nel cuore del conflitto con Israele ed è diventata il nuovo partito nel confronto della sua politica”.
Mentre congela i rapporti commerciali con Israele, la Turchia si presenta dunque con un volto nuovo nella questione israelo-palestinese. Da tempo il governo turco si era proposto come mediatore fra le due parti ma ora i ruoli cambiano. La Turchia, secondo molti analisti dello stesso mondo arabo, diventerà la vera controparte di Israele. Ma c’è chi guarda con preoccupazione questa eventualità. Sul Turkey daily news il giornalista Hikmet Bila scrive “fatta eccezione per un paio di alti e bassi, la Turchia ha sempre seguito una politica di equilibrio, è rimasta un soggetto attivo e moderato in Medio Oriente e nella soluzione del conflitto israelo -palestinese. Ma se ora decidiamo di prendere posizione, dovremo fare bene i nostri calcoli. Dovremmo considerare il rischio – continua Bila – di essere etichettati come “pro-Hamas” dalla comunità internazionale. C’è inoltre il rischio di venire trattati come i paesi arabi, che parlano molto e non fanno niente ogni volta che Israele attacca”.
Per quanto riguarda il caso specifico della Flottilla Freedom, le opinioni dei giornali turchi e del mondo arabo sono violente, a volte più che eccessive. Si passa dalle considerazioni dure di Marwan Bishara, giornalista di Al Jazeera, che critica la presunta aggressività e sordità di Israele, sostenendo che “il motto dello stato ebraico è stato a lungo: ‘Israele fa quello che deve, e il mondo o i goym possono dire tutto quello che vogliono” per poi leggere sul Turkish Weekly le affermazioni del giornalista Kourosh Ziabari secondo cui “un breve excursus sul conto del sanguinoso rapporto fra Israele e il popolo palestinese in questi anni ci dimostra che questo regime non merita il diritto di esistere, come i funzionari statunitensi ed europei sostengono periodicamente”.
Seppur la rabbia turca per quanto accaduto può essere comprensibile, la delegittimazione di Israele non è certo una via plausibile per il conseguimento di una pace duratura. Se la Turchia emergerà realmente come controparte di Israele sulla questione palestinese, i toni non potranno essere quelli di Hamas o Ahmadinejad.
“In questa regione, siamo destinati a vivere insieme in stretta vicinanza l’uno all’altro. Qui siamo tutti interdipendenti e connessi” sostiene sul Today’s Zaman la dottoressa Sylvia Tiryaki, vicedirettore del Global Political Trends Center della İstanbul Kultur University. Per questo motivo uno scontro su più fronti dei vecchi alleati, oramai nemici, Israele e Turchia non farebbe che indebolire entrambe le parti.

Daniel Reichel