16 ottobre, Yad Vashem: il discorso di Vito Anav

Segue il testo del discorso del presidente dell’Irgun Olei Italia, Vito Anav, pronunciato allo Yad Vashem durante le celebrazioni del 16 ottobre: “Nella catena del ricordo ogni generazione è particolare, trae infatti la sua memoria dalla precedente e trasmette il ricordo alla successiva. Alcune generazioni hanno una collocazione netta: sopravvissuti, loro figli, nipoti, ecc. Non sempre viene presa in considerazione un’altra generazione, una mezza generazione spuria, quella alla quale appartengono i cinquantenni di oggi. Siamo nati da figli della Shoah, perseguitati non deportati, che se così fosse non avrebbero avuto via di scampo e non sarebbero potuti diventare genitori. A otto, dieci anni non si usciva vivi da Auschwitz.
Siamo nati figli della Shoah che erano troppo giovani per capire appieno la tragedia che stavano vivendo, troppo giovani per ribellarsi, per combattere, troppo giovani per fare qualunque cosa che non fosse un subire passivamente, senza capirlo appieno lo sconvolgimento che stavano vivendo. Quello che hanno subito lo hanno vissuto attraverso il filtro di altri, più adulti. Abbiamo portato dentro di noi, da sempre, lo sgomento il senso di impotenza dei nostri genitori bambini.
Siamo nati che già avevamo uno Stato, libero, ebraico, indipendente. Uno Stato per cui la fondazione, ancora non nati, non abbiamo contribuito, faticato, operato. Siamo la generazione del quasi, quasi vittime della Shoah, quasi fondatori dello Stato.
Tutto lo sgomento dei nostri genitori bambini lo abbiamo rielaborato attraverso i valori della resistenza ebraica, della rivolta del ghetto di Varsavia dell’eroismo della brigata ebraica. Il nostro ricordo della Shaoh, il nostro dovere di memoria per quello che ci ha fatto il moderno Amalek, che in ogni generazione cerca di distruggerci, non si è limitato al ‘ricordati’ e al ‘non dimenticare’ ma ha trovato sbocco nel concetto di ‘mai più una specie di impegno, di promessa a noi stessi, alle generazioni future, alle generazioni passate’. E anche se in sala ci sono meno giovani di quanti vorrei vederne quanto detto è il nostro passaggio del testimone a loro. I deportati di Roma sono partiti oggi, 18 ottobre, dopo essere stati rinchiusi al collegio romano per due lunghi giorni. Desaparecidos per due giorni, nessuno parla nessuno si chiede che fine abbiamo fatto i vicini di casa.
“IM EIN ANI LI MI LI”. Senza chiudersi nel vittimismo a 360 gradi e senza misconoscere il fraterno aiuto porto dai numerosi “Giusti tra le nazioni” non possiamo non evidenziare che lo Stato di Israele rappresenta non solo la nazione ebraica per millenni auspicata, non solo l’unico luogo dove gli ebrei possono “naturalmente” vivere la loro vita senza  ma anche la cura che ci permette di mitigare l’odio, che permette alla nostra generazione che in alcuni casi ha spinto il Never again oltre i limiti del ragionevole, di approcciarsi alla memoria come popolo. 
Voglio concludere citando le parole di Giuliana Tedeschi alla cui memoria questa cerimonia è dedicata: ‘Le leggi razziali fasciste costituirono per me la premessa della deportazione nel campo di  sterminio di Auschwitz-Birkenau. Il dramma che ho vissuto entro i confini del campo è l’argomento del mio racconto. Ma non voglio rinunciare all’epilogo della mia storia personale: sono ritornata, sola; ho ritrovato le bambine. Quanto difficile il reinserimento nella  vita normale di tutti i giorni! Per un lungo periodo mi sono sentita isolata, un’estranea, una diversa, e queste mie memorie sono rimaste per più di quarant’anni chiuse in un cassetto’. 
Dalla nostra diversità, grazie allo Stato d’Israele, possiamo guardare da pari a pari negli occhi, forti della nostra memoria dimenticata ma senza odio, la grande famiglia delle nazioni”.
 
Vito Anav, presidente dell’Irgun Olei Italia, 18 ottobre 2010